“Essere di Rosario vuol dire essere in una maniera esagerata argentino. Fino alle estreme conseguenze”
Jorge Valdano
Jorge Valdano
La barra del Rosario Central |
Per parlare di calcio in Argentina non è necessario concentrarsi su
Buenos Aires e sulla dualità Boca Juniors – River Plate,. C’è un’altra
possibilità, un’altra città dove il pallone è la parte più importante
della vita quotidiana. Questa città è Rosario. Rosario ha dato molto al
calcio, e il suo derby in Argentina è considerato una delle partite più
attese: Rosario Central contro Newell’s Old Boys, o, che è un po’ la
stessa cosa, Che Guevara contro Maradona, Canallas contro Leprosos.
Rivalità antica, che nel 1920 “battezza” le due squadre con i soprannomi
tuttora attuali: dopo il rifiuto a giocare un’amichevole in sostegno
della lebbra il Rosario Central venne catechizzato come Canalla
(canaglia) mentre, di rimbalzo, i rossoneri diventarono Leprosos, ovvero
“lebbrosi”.
Tutto molto romantico, se non fosse che da praticamente tre anni
Rosario non vive uno degli avvenimenti sportivi più importanti del
panorama calcistico mondiale. Con la retrocessione del Rosario Central
nella seconda serie argentina il massimo campionato albiceleste ha perso
uno degli eventi fondamentali per quanto riguarda l’aggregazione
sociale ed il campanilismo. Ha perso il Superclasico, in una notte
d’inverno dove le lacrime dei tifosi Canallas si mischiarono alla
pioggia e accusarono il colpo di uno spareggio perso contro l’All Boys
che significò retrocessione.
L'Hinchada Màs Populàr, zoccolo duro del tifo "leproso" |
Basta Superclasico, quello vero. Non quello che nel precampionato la
federazione si ostina ad organizzare ma che i tifosi delle opposte
fazioni, di comune accordo, fanno sistematicamente saltare causando
incidenti nel prepartita; manca il derby vero, quello che vale tre punti
e la possibilità di guardare il nemico con superiorità.
Manca proprio, il Superclasico. O meglio, mancava fino ad una settimana
fa quando il Rosario Central dopo tre stagioni di purgatorio centra una
promozione in un campionato iniziato in sordina, ma che alla lunga ha
mostrato il valore di questo gruppo guidato da una vecchia gloria del
club, Miguelìto Russo, una Libertadores conquistata con il Boca Juniors e
una serie di fallimenti da fare invidia a Zeman. E’ la sera delle
“canaglie”, che invadono la città e arrivano in corteo fino alla
splendida Plaza 25 de Mayo per tirare mattino tra canti e fumogeni, in
mezzo a vetrate di negozi pitturate e balconi addobbati a festa. Il
tutto mentre l’altra realtà cittadina sta vivendo uno dei momenti
migliori della sua storia. Infatti anche il Newell’s da ormai due
stagioni si sta proponendo come una delle maggiori realtà argentina
sotto la guida di Gerardo Martino, uno che da calciatore ha dato tutto
per questa maglia ed è stato chiamato dalla società per ricostruire su
anni di macerie lasciati dalle precedenti gestioni. Come il collega
Russo, anche Martino ha lavorato sulla testa della gente e della
tifoseria facendo leva sulla sua grande competenza che ha permesso al
club di riportare a Rosario - sponda rossonera - giocatori che dalla
Lepra sono stati lanciati, come la punta Scocco o gli idoli di casa Maxi
Rodriguez e Bernardi. Ah, cosa non da meno, il Newell’s è vicino al
titolo e ancora in corsa per vincere Copa Libertadores e Copa Argentina.
Rosario capitale d’Argentina quindi? Pare proprio di sì. E come
discorso ci sta, perché in campo ci vanno 33 titoli in totale (14 per il
Central contro 19 per il Newell’s) e il fatto che, contrariamente ad
altre metropoli, trovare qualcuno che non tifi per le realtà locali è
praticamente impossibile. Perché a Rosario o sei indiano, o cowboy. E i
tifosi lo hanno fatto capire in più di una circostanza. Quando il San
Lorenzo provò a fondare una Filiàl (un club di tifosi), lo stabile che
ospitava quest’organizzazione durò giusto il tempo che le due barras
locali ne venissero a conoscenza e organizzassero una spedizione
notturna, accompagnati da benzina e accendini. Per questo anche le due
superpotenze di Buenos Aires, River Plate e Boca Juniors, non si sono
mai permesse di avvicinarsi alla città nemmeno per sbaglio.
In campo e sugli spalti invece è una guerra continua. E ce n’è per
tutti i gusti, anche estremi come l’uso di armi da fuoco o lame, che a
quelle latitudini sono la rovina di uno spettacolo ai limiti del
religioso, dove il profano si mischia col sacro.
Ovviamente il rettangolo di gioco ha contribuito molto a costruire
questa fama romantica del Superclasico rosarino: il già citato Menotti,
Poy e Kempes sono state figure storiche del Central, mentre Valdano,
Maradona e Batistuta – fino ad arrivare ad un giovane Messi – hanno
rappresentato ciò che oggi è diventato il “Niuls” (com’è pronunciato dai
suoi tifosi).
Ora Rosario vive un periodo mistico, con due squadre in netta ascesa e
una città sottosopra, tra deliri di gioia e scorribande festose. E non
importa quale sia l’obiettivo raggiunto, l’importante è gonfiare il
petto e mostrare a tutti i propri colori. Perché Rosario non è Buenos
Aires: qui, o sei indiano, o cowboy.
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