sabato 17 marzo 2018

L'Atlético Nacional di Jorge Almirón



Da poco più di un lustro l'Atlético Nacional è tornato a essere una delle potenze del calcio sudamericano. Il club ha infatti iniziato il suo processo di crescita nel 2012, quando per rifondare una squadra che stava deludendo da diversi anni, la dirigenza decise di affidarsi a
Juan Carlos Osorio. Arrivato a Medellín, il Profe iniziò subito a lavorare sull'identità della squadra, sparita in mezzo a troppi anni di anonimato. Il progetto immaginato dalla società consisteva nel creare un giocattolo duraturo nel tempo, da poter eventualmente lasciare in eredità anche all'allenatore successivo. E così fu: con il tecnico originario di Santa Rosa, il club paisa vincerà sei trofei in tre anni e mezzo, e quando Osorio – a metà del 2015 – venne contattato dal São Paulo – le basi per rimanere in alto erano già state gettate.

Il successore di Osorio fu individuato in Reinaldo Rueda. La narrativa vuole che sia stato lo stesso Profe a consigliare il suo sostituto, su espressa richiesta del club. All'Atlético Nacional si usa così, fin dagli anni '80. Fece così anche Oswaldo Zubeldía, storico dt verdolaga fino al 1982 e fidato consigliere dei vertici societari anche dopo il suo addio alla guida del Nacional. Poco prima di morire, Zubeldía si presentò in uno studio dentistico della città per convincere il titolare a prendere in mano il settore giovanile del club. Quel dentista era Francisco Maturana detto Pacho, uno che il calcio colombiano lo rivoluzionerà tra il 1987 e il 1989, portandolo nel nuovo secolo con vent'anni di anticipo. Il biennio passato all'Atlético Nacional segnò l'inizio di una nuova era per la Colombia: erano gli anni in cui Pablo Escobar vinceva le elezioni e il cartello di Medellín imperversava per le strade delle città, con il solo fútbol capace di unire tutti sotto la stessa bandiera. Con Maturana nacque il mito dei Puros Criollos, una squadra composta esclusivamente da giocatori nati in Colombia, della quale facevano parte – tra gli altri – René Higuita e Leonel Álvarez. Quel gruppo, oltre a vincere la Copa Libertadores, nel dicembre del 1989 giocò, perdendola, la finale di Coppa Intercontinentale contro il Milan di Sacchi.


Maturana è stato un po' il padre della nuova generazione di dt colombiani, un personaggio in grado di creare un sistema che, a distanza di tanti anni, viene ancora sfruttato in pieno. Osorio e Rueda fanno parte della categoria dei discepoli del Pacho, sia come proposta di gioco che come attitudine alla gestione del gruppo. Il passaggio di consegne tra questi due è stato quindi naturale e inevitabile. Con Rueda, i verdolagas sono tornati in vetta al continente, vincendo una Copa Libertadores e una Recopa, fermati in Sudamericana solo dalla triste tragedia della Chapecoense, alla quale la società ha deciso di cedere simbolicamente il titolo. Dopo la separazione da Rueda, il club ha però cambiato target, e dopo l'interregno di Juan Manuel Lillo, sulla panchina de la Máquina è arrivato Jorge Almirón. Il dt argentino, in ascesa da alcuni anni, è stato ingaggiato pochi giorni dopo aver perso la finale di Libertadores alla guida del suo Lanús.

Continuità tattica: il (camaleontico) 4-2-3-1

Dopo un inizio al rallentatore, culminato con la brutta sconfitta il Supercopa contro i Millonarios, Almirón sta, piano piano, venendo a capo della situazione. L'ex dt del Granate ha corretto alcuni difetti - soprattutto in fase difensiva - di una squadra penalizzata dai tempi lunghi sul mercato. Come rimarcato in più di un'occasione da Almirón stesso, dopo cinque anni la rosa aveva l'esigenza di essere (almeno parzialmente) restaurata.


D'altronde l'Atlético Nacional è sì annoverabile tra le potenze del continente, ma ogni anno è costretto a cedere qualcuno dei suoi pezzi pregiati. Nonostante ciò, la società nell'ultima sessione di mercato è riuscita a trattenere tutti i migliori, con la sola eccezione di Franco Armani. L'idea originale di Almirón era quella di riprendere in mano il filone tattico tramandato da Osorio a Rueda, ovvero un 4-2-3-1 nel quale la maggior parte dei giocatori in rosa avrebbe potuto trovare facilmente collocazione. Oltre all'allenatore, dall'Argentina sono arrivati ben quattro rinforzi: Fernando Monetti, Diego Braghieri, Rafael Delgado e Gonzalo Castellani. Tutta gente che Almirón ha allenato di recente, e che va ad aggiungersi ad altri ottimi innesti come Juan Camilo Zuñiga, Jorman Campunzano e soprattutto Vladimir Hernández. Quest'ultimo si sta rivelando l'acquisto più azzeccato, visto il rendimento in questo inizio di stagione.

Durante le prime uscite Almirón ha mischiato le carte, alternando – a seconda della partita – vari moduli. Il più usato, il 4-1-4-1, è una proposta che sempre più allenatori stanno utilizzando, in quanto permette di sfruttare al meglio tutte le risorse a propria disposizione e, soprattutto, di coprire l'intera ampiezza del campo. L'argentino però lo alterna al 4-2-3-1, soprattutto in fase offensiva. L'ago della bilancia è Macnelly Torres, centrocampista bravissimo a interpretare la doppia fase di gioco grazie ai suoi movimenti tra le linee. Il numero 10 verdolaga, in fase di costruzione, si alza spesso dietro la punta di riferimento, talvolta sfruttando la sua bravura nell'aggredire gli spazi. In fase difensiva invece, Torres scala spesso a centrocampo affiancandosi a Vladimir Hernández, permettendo all'altro centrale di trasformarsi in mediano davanti alla difesa.

Torres è uno dei veterani del gruppo: gioca – a parte due brevi parentesi all'estero nel mezzo – nel Nacional da sette anni, e assieme a David Arias è l'unico elemento ancora in rosa reduce dalle precedenti gestioni targate Osorio e Rueda. Per questo, nonostante i 34 anni, per Almirón è un elemento imprescindibile, una sorta di allenatore in campo che detta tempi e movimenti alla squadra. Hernández invece rappresenta una piacevole novità, per duttilità e abnegazione. Il centrocampista arrivato dal Santos può ricoprire diversi ruoli: centrocampista centrale, mezzala sinistra o trequartista. Tutte posizioni che ha già occupato in questi primi mesi di stagione. Almirón lo sfrutta anche per la sua capacità realizzativa, figlia di una tecnica di base decisamente sviluppata. Hernández è un brutto cliente da affrontare, dato che ha ottimi tempi di inserimento ma anche un bel tiro da fuori, che lo rende pericoloso su punizione. 

La fase offensiva

Il Lanús di Almirón giocava con un 4-3-3 atipico. Atipico nel senso che il centravanti, in quel caso José Sand, era sì il finalizzatore principale della squadra, ma era chiamato a un lavoro sistematico con i due esterni offensivi, coi quali spesso duettava nello stretto e, talvolta, apriva spazi. Per questo, quando il dt ha accettato l'incarico verdolaga, il trasferimento di Pepe a Medellín sembrava scontato. Invece, il bomber del Granate ha scelto sì la Colombia, ma per giocare nel Deportivo Cali. Così Almirón ha deciso di puntare, per il ruolo di centravanti, su due giocatori molto particolari, diversi ma nel contempo simili tra loro per alcune caratteristiche.


Sviluppo del gol in Colo Colo - AtleticoNacional: Rentería - in nero - va a recuperare palla sulla trequarti difensiva. Quando riparte, Hernández - in rosso - lo accompagna per qualche metro prima di allargarsi a sx, mentre Torres (viola) appoggia l'azione a dx aprendo il campo. 

Il primo è Dayro Moreno, elemento di grande esperienza tornato in patria dopo aver girovagato tra Asia e Messico. Moreno nasce come seconda punta, ma nel club paisa viene utilizzato da falso nueve: il suo compito principale è quello di abbassarsi sulla trequarti e duettare con Torres o con uno degli esterni, talvolta sfruttando la sua tecnica per creare superiorità numerica con un dribbling. Moreno, inoltre, vede abbastanza la porta e ha discrete qualità balistiche, calcia angoli e punizioni, ma soprattutto possiede una visione di gioco che lo porta spesso a essere decisivo in fase di rifinitura.

Poi c'è Andrés Rentería, lui sì molto più simile a Sand. Il suo stile di gioco, molto improntato sulla verticalità, è essenziale e principalmente impostato su sacrificio e dinamismo. Quando gioca in contemporanea con Moreno infatti, Almirón lo dirotta sulla fascia sinistra per sfruttarne la velocità negli spazi aperti. Anche Rentería scala spesso sulla trequarti per appoggiare l'azione e far salire la squadra, come ben testimonia il gol segnato dall'Atlético Nacional in Copa Libertadores contro il Colo Colo. Il numero 11 recupera il pallone prima del centrocampo, imbastendo una ripartenza di una trentina di metri e concludendo l'azione con l'imbucata per il gol di Hernández.

La difesa a tre e l'importanza degli esterni

L'Atlético Nacional è ancora un progetto in fase embrionale. Per questo, nonostante un'impostazione tattica di base abbastanza chiara, Almirón – in alcune circostanze – ha voluto dare un'occasione anche alla difesa a tre. Non una novità, per il tecnico argentino, che già negli anni passati ciclicamente la riproponeva. I verdolagas hanno un reparto arretrato ben assortito, soprattutto nella zona centrale. 

L'arrivo di Braghieri ha ulteriormente potenziato la difesa: l'argentino, oltre a essere stato un perno del Lanús, ha maturato esperienze molto positive tra Rosario Centrale e (soprattutto) Arsenal de Sarandí. La sua duttilità ha permesso al dt di valutare un ipotetico passaggio alla difesa a tre: con Braghieri centrale di sinistra, gli altri due posti sono stati occupati da Alexis Hénriquez e Felipe Aguilar, altro elemento molto interessante nel giro della nazionale allenata da Pékerman. A farne le spese, però, è stato forse il centrale più talentuoso e futuribile del calcio colombiano: Carlos Cuesta, classe 1999, sotto la gestione Lillo sembrava potersi prendere definitivamente il posto da titolare, tanto che ad un certo punto si parlava di lui come prossimo partente, attratto da alcune sirene europee. Alla fine Cuesta è rimasto, e con Almirón è il centrale che sta trovando meno spazio.


L'elasticità di modulo proposta dal tecnico è figlia di una rosa comunque molto ricca di soluzioni, con una profondità di rosa che ha poche eguali in tutto il continente. A dimostrazione di ciò, basti pensare agli esterni che Almirón si trova a dover gestire. Daniel Bocanegra è il terzino destro titolare, e può giocare sia da numero due che da laterale a tutta fascia. Lo stesso vale per il suo sostituto, Heliberton Palacios, uno degli ultimi rinforzi arrivati nell'ultima sessione di mercato. La staffetta tra questi due ha messo più volte in difficoltà Almirón, che contro il Colo Colo – per non rinunciare a nessuno dei due – ha schierato Palacios come laterale destro del 3-4-2-1, dirottando Bocanegra in mezzo al campo per sfruttarne la fisicità e la bravura nell'accorciare sull'avversario. In fase di non possesso, quest'ultimo scalava davanti al terzetto difensivo, con Torres e Hernández nel ruolo di interni di centrocampo.

Sulla fascia sinistra si alternano l'argentino Rafael Delgado e Christian Mafla, con il primo decisamente più duttile del secondo, più terzino che laterale a tutta fascia. Così, Almirón sta lavorando a un progetto molto difficile e ambizioso, quello che porterebbe alla definitiva trasformazione di Jeison Lucumí da esterno offensivo a giocatore totale. Un percorso sul quale non si possono bruciare le tappe, tanta è la possibilità di fallire; Lucumí è uno degli esterni colombiani più interessanti in circolazione, soprattutto da quando – al Sudamericano sub-20 – si è imposto all'attenzione generale facendo girare la testa a qualunque avversario gli si facesse sotto. Cresciuto nel vivaio dell'América, il classe 1995 ha riportato lo storico club di Cali in Primera División dopo cinque anni di inferno, impattando subito bene con la massima categoria colombiana. A metà del 2017 l'Atlético se lo è assicurato e, nei piani della società, Lucumí dovrebbe diventare ciò che Marlos Moreno era per Osorio o, in alternativa, ciò che Berrío rappresentava per Rueda.

In tutto ciò dovrà poi inserirsi Gonzalo Castellani, frenato da un infortunio in questo inizio di stagione. L'ex centrocampista di Boca Juniors e Defensa y Justicia potrà essere una delle chiavi che permetteranno ad Almirón di mutare ulteriormente, a seconda delle partite, l'assetto di una squadra con qualità decisamente importanti. L'Atlético Nacional, quest'anno, è chiamato a fare grandi cose.

Nessun commento:

Posta un commento