Romanzare il calcio è la
prerogativa base di tutto il calcio sudamericano. I peruviani, in
particolar modo, sono riusciti a elevare questo concetto all'ennesima
potenza. Se poi si parla di nazionale, il rapporto tra futbol e Perù diventa viscerale, un vero e proprio
sentimento popolare che unisce tutti indistintamente, prevaricando ogni rivalità storica. Quando nell'ottobre del 2015 il Perù doveva ancora vincere la sua prima partita nel girone di qualificazione per il mondiale russo, Libero – il quotidiano più venduto del paese – uscì con una prima pagina tanto audace quanto bizzarra. Al centro c'era una foto gigante raffigurante Paolo Guerrero, capitano e goleador della Bicolor, accerchiato da tutti i suoi compagni in assetto da battaglia e, sotto di loro, un titolo contenente un messaggio ben preciso.
sentimento popolare che unisce tutti indistintamente, prevaricando ogni rivalità storica. Quando nell'ottobre del 2015 il Perù doveva ancora vincere la sua prima partita nel girone di qualificazione per il mondiale russo, Libero – il quotidiano più venduto del paese – uscì con una prima pagina tanto audace quanto bizzarra. Al centro c'era una foto gigante raffigurante Paolo Guerrero, capitano e goleador della Bicolor, accerchiato da tutti i suoi compagni in assetto da battaglia e, sotto di loro, un titolo contenente un messaggio ben preciso.
“Garra y corazón
para la calificación.
Arriba Perù!”. La
partita contro il Paraguay era l'ultima spiaggia per provare a
rientrare nel gruppo delle inseguitrici al quinto posto, così Libero
chiedeva alla squadra grinta e cuore, caratteristiche che
rappresentano la base sulla quale il Perù, nella storia, ha
costruito i suoi (pochi) successi. L'altro ingrediente è
l'ottimismo, che non deve mai mancare. Anche quando il discorso
Russia 2018 sembrava definitivamente archiviato, i giornali e le tv
di Lima richiamavano all'ordine Ricardo Gareca e i suoi ragazzi,
pubblicando quotidianamente tabelle di marcia per spronarli e per
dimostrare che nulla era ancora deciso. Il concetto che doveva
passare era semplice: finché la matematica non ci condanna, dobbiamo
provarci. Insomma, si chiedeva quell'ottimismo necessario per portare
a termine una vera e propria impresa. Il Perù quella partita la
vincerà, e da lì comincerà a costruire la sua rimonta.
Due anni dopo, la Franja Roja si ritrova seduta al tavolo principale di Russia 2018. La qualificazione a un mondiale mancava da trentasei anni; era infatti il 1982 quando il Perù, alla fine della generación dorada, salutò per l'ultima volta una fase finale di coppa del mondo. La partita persa 5-1 con la Polonia rappresentò un po' il canto del cigno per un gruppo dalle qualità immense, che in quegli anni era stato capace di far sognare tutta l'America Latina grazie al suo calcio fresco e innovativo. Sul Perù di Teófilo Cubillas, Héctor Chumpitaz, Juan Carlos Oblitas e César Cueto calò quindi il sipario, e nei decenni successivi nemmeno santoni della panchina come Paulo Autuori e il Pacho, al secolo Francisco Maturana, riusciranno a riportare la squadra ai fasti degli anni '70.
La
rivoluzione del Tigre
Dove
non sono riusciti loro, è arrivato Ricardo Alberto Gareca. Il
tecnico argentino ha preso in mano la nazionale peruviana nel marzo
2015, iniziando il suo ciclo da ct con la preparazione della Copa
América che, di lì a poco, si sarebbe svolta in Cile. Nativo di
Tapiales, provincia di Buenos Aires, Gareca ha costruito la sua
intera carriera sulle sfide impossibili. Dopo tre esperienze sulla
panchina del Talleres, inframezzate da parentesi sfortunate con
Independiente e Argentinos Juniors, Gareca si è trasferito in
Colombia per allenare l'América de Cali. Al club escarlata,
il Tigre – soprannome che si porta dietro fin dagli inizi
nel settore giovanile del Boca Juniors – viene accolto come un
eroe, per via dei quattro anni passati a Cali da giocatore, dove ha
aiutato la società a vincere tre titoli e sfiorare per ben tre volte
la Libertadores. In realtà il suo ritorno si rivelerà fallimentare,
così come il suo biennio successivo passato tra Santa Fe e
Universitario.
Sul Depredador pende però la possibile squalifica per doping, un caso spinoso che – a breve – potrebbe ufficialmente costargli il mondiale. Qualora il verdetto dovesse confermarsi negativo, il Perù ne risentirebbe molto sia dal lato squisitamente tecnico che, ovviamente, da quello umano. Guerrero è da sempre il collante tra squadra e federazione, un capitano che con questa maglia addosso si trasforma radicalmente, come ha confermato recentemente lo stesso Gareca: «Contare su Paolo significa avere a disposizione uno degli attaccanti più forti del mondo. Caratterialmente siamo molto simili: sarebbe un peccato non averlo al mondiale, ma so che si sta allenando duramente per esserci».
Il
Gareca che arriva al Vélez è quindi un allenatore che deve
rilanciarsi in tutto per tutto, ed è proprio in questa circostanza
che le sue qualità escono, permettendogli di scrivere un piccolo
pezzo di storia del club di Liniers. Il Fortín,
sotto la sua gestione, si trasforma in una della squadre più
temibili del continente e, soprattutto, fa incetta di titoli (tre
campionati e una coppa nazionale). Dopo il matrimonio fallito in
fretta con il Palmeiras, ecco arrivare la chiamata da Lima. Il Perù
è alla ricerca di un nuovo selezionatore che possa rappresentare un
upgrade
rispetto a Sergio Markarián e Pablo Bengoechea, e dopo settimane di
trattative l'ingaggio del Tigre
diventa finalmente ufficiale: «Volevamo
fortemente Gareca perché sappiamo che con lui possiamo crescere e
sfruttare al meglio tutto il talento a nostra disposizione»,
disse Edwin Oviedo, presidente della federazione, durante la
presentazione del ct.
Gareca
è il classico antidivo, un tipo dai modi poco appariscenti e molto
riflessivi. Un uomo che davanti alle telecamere lascia trasparire
poche emozioni, siano esse positive o meno, ma nel contempo molto
bravo nel trasmettere all'ambiente tutta la sua intelligenza e la
passione per il proprio lavoro. Il Tigre viene ingaggiato per
costruire un gruppo dalla mentalità vincente, lavorando sui pochi
risultati positivi ottenuti negli ultimi anni. Tutti, va detto,
maniera estemporaena. Qualificarsi al mondiale stava diventando
un'obsesión, un'ossessione, un sentimento che andava preso e
trasformato in input positivo. Come fare? Riscoprendo le proprie
qualità tramite la ricetta di casa Gareca, basata sulle motivazioni:
«Credo nel calciatore peruviano. Ci credo perché so che è
l'unica cosa da fare se si vuole creare un contesto competitivo»
dice il ct al momento del suo insediamento, aggiungendo poi che «ciò
che è successo in passato è passato, quindi non è importante».
Ottimismo e consapevolezza, appunto.
Dopo
il terzo posto in Copa América, il Perù però perde le prime due
partite di qualificazione a Russia 2018, e la vittoria contro il
Paraguay mitiga solo in parte la sconfitta casalinga incassata dagli
storici rivali cileni, che per festeggiare – come se non bastassero
i quattro gol segnati – devastano gli spogliatoi dell'Estadio
Nacional. Gareca è in difficoltà: la squadra lo segue, ma lui non
ha ancora deciso su quali giocatori puntare definitivamente. Il
problema è rappresentato principalmente dalle tante figure
ingombranti ancora nel giro della Selección. Gente come
Claudio Pizarro, Carlos Zambrano e Juan Manuel Vargas vengono
richiesti a gran voce dai tifosi, che nel cuore hanno ancora le
emozioni trasmesse dai cincos fantásticos nel 2011, quando in
Argentina la Franja Roja accarezza il sogno di vincere il
trofeo continentale. Di questi però solo Paolo Guerrero e Jefferson
Farfán risultano ancora utili alla causa. In difficoltà, il Tigre
organizza una riunione in federazione dove spiega i suoi problemi
nella gestione di certi personaggi. Oviedo gli concede totale libertà
d'azione e, da lì in poi, la musica cambierà. Il ruolino di marcia
della Bicolor subisce l'impennata decisiva dopo lo 0-3 a
tavolino ottenuto in Bolivia: da quel momento, il Perù raccoglierà
22 dei 26 punti totali, che gli varranno il quinto posto e il diritto
di giocarsi l'accesso al mondiale contro la Nuova Zelanda.
In questi tre anni però Gareca si è dimostrato anche un ottimo comunicatore. Durante le sue conferenze stampa ha sempre cercato di spiegare e motivare le sue idee e i suoi metodi, cosa mai avvenuta con i predecessori. Il Perù è patrimonio di tutti, così il suo ct lo ha reso accessibile a chiunque abbia dimostrato di averlo a cuore: «Se siamo al mondiale è perché abbiamo fatto tutti un gran lavoro: io, il mio staff, i giocatori ma soprattutto la gente che ci ha supportato e ha creduto in noi, anche quando la qualificazione sembrava impossibile», ha dichiarato Gareca subito dopo la partita vinta contro la Nuova Zelanda. Adesso viene la parte più difficile: per affrontare il percorso di avvicinamento a Russia 2018, il Tigre ha dettato regole generali che i giocatori saranno obbligati a rispettare. Si va da un codice di comportamento, dove viene specificato che non saranno tollerati colpi di testa dentro e fuori dal campo, fino a quello sul range di ore entro le quali è consentito presentarsi in ritiro per rispondere alla convocazione.
In questi tre anni però Gareca si è dimostrato anche un ottimo comunicatore. Durante le sue conferenze stampa ha sempre cercato di spiegare e motivare le sue idee e i suoi metodi, cosa mai avvenuta con i predecessori. Il Perù è patrimonio di tutti, così il suo ct lo ha reso accessibile a chiunque abbia dimostrato di averlo a cuore: «Se siamo al mondiale è perché abbiamo fatto tutti un gran lavoro: io, il mio staff, i giocatori ma soprattutto la gente che ci ha supportato e ha creduto in noi, anche quando la qualificazione sembrava impossibile», ha dichiarato Gareca subito dopo la partita vinta contro la Nuova Zelanda. Adesso viene la parte più difficile: per affrontare il percorso di avvicinamento a Russia 2018, il Tigre ha dettato regole generali che i giocatori saranno obbligati a rispettare. Si va da un codice di comportamento, dove viene specificato che non saranno tollerati colpi di testa dentro e fuori dal campo, fino a quello sul range di ore entro le quali è consentito presentarsi in ritiro per rispondere alla convocazione.
Dubbi
e certezze
Quella
che si è trovata tra le mani Gareca è una rosa con valori tecnici
importanti, ma anche con attorno un grosso punto interrogativo,
legato al fatto che la maggior parte degli “stranieri” in rosa
fatichi a giocare titolare a livello di club.
Per
fortuna del Tigre, da questa categoria è recentemente uscito
Jefferson Farfán, bravo a ritagliarsi uno spazio da protagonista
nella Lokomotiv Mosca. In Russia la Foquita è rinata,
diventando uno dei leader del club moscovita e, soprattutto, tornando
a essere lontano parente di quel giocatore che frequentava più
l'infemeria del campo durante il suo biennio negli Emirati Arabi.
Secondo un recente sondaggio lanciato da El Bocón, Farfán è
considerato uno dei calciatori peruviani più forti della storia, e
probabilmente sarà lui una delle stelle di questa squadra a Russia
2018. D'altronde la carriera di Farfán parla da sola, così come da
soli parlano i numeri in nazionale di Paolo Guerrero, massimo
goleador nella storia della nazionale davanti a mostri sacri come
Cubillas, Lolo Fernández e lo stesso Farfán.
Sul Depredador pende però la possibile squalifica per doping, un caso spinoso che – a breve – potrebbe ufficialmente costargli il mondiale. Qualora il verdetto dovesse confermarsi negativo, il Perù ne risentirebbe molto sia dal lato squisitamente tecnico che, ovviamente, da quello umano. Guerrero è da sempre il collante tra squadra e federazione, un capitano che con questa maglia addosso si trasforma radicalmente, come ha confermato recentemente lo stesso Gareca: «Contare su Paolo significa avere a disposizione uno degli attaccanti più forti del mondo. Caratterialmente siamo molto simili: sarebbe un peccato non averlo al mondiale, ma so che si sta allenando duramente per esserci».
Da
Cristian Cueva a Edison Flores, passando per Renato Tapia e Aldo
Corzo, il Perù si sta preparando alla trasferta russa con la voglia
di stupire, cercando di regalare alle migliaia di fan che si
sobbarcheranno la traversata oceanica una qualificazione agli ottavi
di finale. E, magari, un pensiero sarà rivolto anche a Daniel
Peredo, storica voce della nazionale scomparsa prematuramente pochi
mesi fa, a 49 anni. Peredo, morto per un arresto cardiaco
sopraggiunto durante una partita di calcetto, è stato salutato per
l'ultima volta all'Estadio Nacional, dove pochi giorni prima aveva
raccontato la qualificazione del Perù urlando, come tradizione
impone, la sua gioia per il traguardo raggiunto.
Un
addio collettivo, una riunione sotto un'unica bandiera. La stessa
bandiera simbolo di «libertà dopo tre secoli di oppressione»,
come scrisse José de la Torre Ugarte nella Marcha Nacional de Perù,
inno adottato ufficialmente nel 1821 che, tra pochi mesi, suonerà
anche in Russia.
Nessun commento:
Posta un commento