Svizzera. Un giornalista si avvicina ad
alcuni componenti della nazionale cilena in ritiro nelle campagne
elvetiche per preparare una partita amichevole contro la selezione
locale e, quasi indispettito, domanda: “Ma di notte non vi dà fastidio
questo fiume che scorre proprio dietro all’albergo?”.
“Fastidio? – risponde una persona – Io vengo da barrio Moròn, dalle mie
parti se riesci ad uscire di casa per andare a scuola senza che nessuno
ti spari puoi essere soddisfatto della tua giornata”.
A parlare è Claudio Borghi, sorriso a trentadue denti tipo pubblicità
del dentifricio e lingua tagliente, ormai ex allenatore del Cile e
personaggio unico nel panorama sportivo sudamericano. Nato a Buenos
Aires nel 1964, Borghi passò alla storia come colui che fece invaghire
Silvio Berlusconi a metà degli anni ’80 e che l’allora neo presidente
del Milan volle portare in Italia a tutti i costi. Ma nel Milan di
Arrigo Sacchi non c’era posto per l’estro e il carattere particolare del
Bichi, come viene soprannominato ancora oggi, perché disciplina e
puntualità non erano le doti migliori di questo ragazzo che a
quell’epoca prendeva tutto come un gioco. Uno splendido gioco, che però
non gli evitò la bocciatura proprio mentre il Milan stellare degli
olandesi iniziava a macinare gioco e fare incetta di trofei. Ma questa è
un’altra storia.
Una storia che parte agli inizi degli anni ’80, quando inizia a giocare
come centrocampista offensivo nell’Argentinos Juniors, club che lanciò
anche un certo Diego Maradona. Era considerato una giovane promessa
argentina e furono riposte molte speranze su di lui quando fu convocato
dalla Nazionale per i mondiali di Messico '86. Tuttavia non brillò
durante quel mondiale vinto dall'Argentina e non fu più convocato per la
Selección. Giocò probabilmente la sua miglior partita durante la finale
di Coppa Intercontinentale fra Argentinos Juniors e Juventus del 1985,
non riuscendo però a portare la sua squadra al successo. Fu in
quell’occasione che Berlusconi lo vide, e nel 1986 Borghi sbarcò a
Milano giusto in tempo per rendersi conto che il Milan non faceva per
lui. In particolare, a non far per lui, era Arrigo Sacchi: “Che senso ha
correre per tanti chilometri se il campo è lungo solo cento metri?”
sbottò al termine di un allenamento contro il tecnico protestando per
una seduta, a suo avviso, troppo pesante.
Non c’era verso, quei due non si amavano, tanto che nel gennaio del ’88
venne spedito a Como perché la società di Milanello ebbe l’occasione di
prendere come terzo straniero un certo Rijkaard e compose il trio
magico di olandesi, il tutto mentre Borghi si barcamenava in una società
allo sbando. “A Como mi capitarono gli allenatori peggiori di sempre –
ha dichiarato in una recente intervista – perché sia Agroppi che
Burgnich erano molto bravi a dire cosa non dovevamo fare e a urlare.
Peccato che si dimenticavano di spiegarci cosa invece andava fatto”.
Argentino di nascita, ma cileno di adozione perché “il Cile mi ha dato
tanto ed è ormai la mia casa”, Borghi vive a Santiago e insegna calcio
nell’Universidad Catolica dove è praticamente un’icona. Personaggio
particolare, si diceva: nella stagione 2002/03 inizia la carriera da
allenatore nell’Audax Italiano, club della nostra comunità innestatasi
in Cile, portandola dalla zona retrocessione a un prestigioso quarto
posto.
“Poi mi hanno venduto i migliori, il
centravanti e il trequartista, sostituendoli con due ragazzini e mi
hanno detto: adesso cerchiamo di vincere lo scudetto. No grazie, e me ne
sono andato. Sono in attesa: le offerte non mi mancano, ma mi diverte
molto anche insegnare all'università. Sono nelle condizioni economiche
di poter scegliere con calma”.
Prima di fare l'allenatore, Borghi per qualche tempo ha fatto il procuratore in coppia con il cileno Hugo Rubio, ex meteora del Bologna di Maifredi. “Non c'è un grande mercato, i migliori giocatori cileni sono già in Italia. Quello di procuratore comunque non era il mestiere per me”.
Non è mai stato tagliato per le pubbliche relazioni. “Ricordo che il mio procuratore di allora, Felix Latronico, mi diceva a proposito di Sacchi: dagli ragione, cerca di essere un po' più ruffiano, impegnati qualche settimana, intanto noi abbiamo l'appoggio del presidente... Ma un rapporto così, fondato sulla falsità, dove avrebbe portato? E poi siamo sicuri che con Borghi il Milan avrebbe vinto tutto quello che ha vinto senza?”.
Prima di fare l'allenatore, Borghi per qualche tempo ha fatto il procuratore in coppia con il cileno Hugo Rubio, ex meteora del Bologna di Maifredi. “Non c'è un grande mercato, i migliori giocatori cileni sono già in Italia. Quello di procuratore comunque non era il mestiere per me”.
Non è mai stato tagliato per le pubbliche relazioni. “Ricordo che il mio procuratore di allora, Felix Latronico, mi diceva a proposito di Sacchi: dagli ragione, cerca di essere un po' più ruffiano, impegnati qualche settimana, intanto noi abbiamo l'appoggio del presidente... Ma un rapporto così, fondato sulla falsità, dove avrebbe portato? E poi siamo sicuri che con Borghi il Milan avrebbe vinto tutto quello che ha vinto senza?”.
Personaggio particolare, il Bichi; Michel Platini lo ribattezzò
“Picasso”, Fernando Redondo stravedeva per lui tanto da ergerlo a suo
modello, Hector Cuper – ex allenatore dell’Inter e suo compagno
all’Huracan – racconta ancora oggi di quando in allenamento lo vedeva
segnare di testa e gli chiese: “Claudio, perché in partita non vai mai a
saltare di testa?”. Risposta: “Perché a calcio si gioca coi piedi”.
Strepitoso.
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