lunedì 4 febbraio 2013

Toro.it - Guardiola e il Bayern, un matrimonio (quasi) annunciato



La telenovela del 2012 si è risolta poco più di un mese fa. Josep, detto Pep, Guardiola ha scelto il suo futuro dopo una stagione in cui la “pausa di riflessione” – classica tra chi ha vinto tanto – ha avuto la meglio su di lui. Soddisfatto dall’esperienza al Barcellona il tecnico si è guardato attorno e ha valutato il meglio, benché le offerte non mancassero. Roma, Inter e Milan hanno tentato a più riprese di portare Pep in Italia, ma nonostante il richiamo di un paese che professionalmente – a suo dire – gli ha dato tanto, non è bastato il ricordo dei begli anni a Brescia in coppia con Roberto Baggio a convincere l’ex centrocampista a tornare da noi.


Non solo Italia però. Anche in Inghilterra il Chelsea di Abramovich ha tentato a più riprese Guardiola: il presidente dei Blues vedeva lui per il dopo Di Matteo, identificandolo nella figura ideale per dare continuità ad un progetto culminato qualche mese prima, a Monaco di Baviera, quando il Chelsea alzò al cielo la Champions League. Niente di tutto questo: Guardiola sceglie proprio la città che ha fatto tanto sorridere Drogba e compagni, trasferendosi in Baviera e iniziando un lavoro di osservazione che a giugno lo porterà a firmare un contratto multimiliardario con il Bayern. Ad un primo impatto la scelta di Guardiola ha spiazzato tutti, ma Monaco sembra la tappa ideale per un tecnico che alla prima esperienza si è ritrovato a dirigere la squadra più forte del mondo ottenendo i risultati più esaltanti della storia del Barça. Non potendo replicare il modello Barcellona – e non potendo clonare Messi, Xavi ed Iniesta – Pep ha scelto la sicurezza societaria e la tranquillità di uno stato come la Germania, isola felice nel grigiore attuale dell’Europa, accordandosi con un top club mondiale che rappresenta un mix di ricchezza ed organizzazione. Il Bayern i suoi campioni li ha già, ma d’altro canto ha le risorse economiche per ingaggiarne altri, ed è stata proprio questa la discriminante che ha portato alla scelta finale di un personaggio chiuso, preparato ma mai fuori dalle righe, che dell’etica del lavoro ha fatto il suo cavallo di battaglia.
 
La domanda che la sera sera del 16 gennaio si sono posti tutti è però questa: perchè mai Guardiola, l’allenatore artigiano che in gilet, giacca e cravatta ha plasmato la squadra più bella e vincente dell’ultimo mezzo secolo, l’uomo che senza urli ma soltanto con gesti e parole chiare ha portato al proprio Rinascimento calcistico il possesso palla, facendolo uscire dal Medioevo della noia, perchè mai, dicevamo, lui avrebbe dovuto accettare di allenare in Bundesliga? Per un semplice motivo: progettualità. Per capire ciò bisogna tornare indietro nel tempo e questo viaggio, naturalmente, partirà dalla Spagna, dalla Catalogna, da Barcellona. “Mès que un club” è il motto del FC Barcelona ed è la storia a narrare il fascino che la maglia blaugrana trasuda. Il club catalano è diverso dagli altri perchè è una bottega di artigiani enorme, ed i suoi successi di oggi, degli ultimi anni, sono frutto di un lavoro iniziato ben prima dell’arrivo di Guardiola, ben prima dei record infranti da Messi&co. nella Liga e nella Champions League. La bottega artigianale del Barcelona inizia la sua attività nel lontano 1988, quando sulla panchina si siede da allenatore un certo Johan Cruijff, uno che odia conformarsi e preferisce essere lui a dettare ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, facendosi poi obbedire di conseguenza. Lui, l’olandese volante, in una follia mai così lucida, ricostruì la squadra dalle fondamenta, facendo rinascere una società giunta, a suo parere, ad un punto morto della propria esistenza. Con lui nacque la cantera catalana. Fu lui a gettare i semi della rivoluzione. Da calciatore, Cruijff, fu l’emblema del “calcio totale”, una filosofia di gioco che sconvolse ed entusiasmò milioni di amanti del calcio quando negli anni ’70, condotta dal maestro Rinus Michel, la selezione Orange stupì il mondo intero andando vicino a due titoli mondiali.
 
Guardiola è solo l’ultimo tassello di un puzzle ventennale, il piccolo bambino che da canterano porta la sua squadra a vincere proseguendo un progetto – questo sì, lungimirante – per poi salutare davanti a ottantamila tifosi con le lacrime agli occhi.
 
La prossima fermata è però la Bundesliga, il calcio tedesco, un mondo nuovo e totalmente diverso dalla dimensione “casalinga” dalla quale Guardiola esce dopo anni vissuti da protagonista. Lì si gioca sempre a calcio, ma con la testa più leggera e le tasche più piene. Il Bayern Monaco poi è un club che unisce la forza e la saggezza del calcio storico europeo a questa nuova dimensione del calcio locale tedesco, che riesce a plasmare squadre di primo livello spendendo, ma tenendo i conti in ordine e dando sempre e comunque un occhio al proprio settore giovanile. Se il Borussia Dortmund di necessità ne ha fatto virtù (i campioni da noi non vengono? Ce li costruiamo, semplice), il Bayern, grazie all’esperienza di Guardiola, potrà ulteriormente rafforzare la propria struttura ed allora tutti saremo costretti a voltarci ed ammettere che in Germania qualcosa di nuovo e di grande è davvero nato. La scelta di Guardiola può cambiare gli equilibri del potere calcistico europeo e questa credo sia la cosa abbia convinto Pep a dire sì al club teutonico, e credo sia anche la cosa più affascinante di tutto il discorso, senza contare che una sfida sulle panchine tra Klopp e Guardiola sarà forse meno mediaticamente intrigante di quella del catalano con Mourinho, ma calcisticamente potrà regalare altrettante emozioni soprattutto se il mercato estivo dovesse portargli in eredità campioni come Luis Suarez, Radamel Falcao e Isco che, affiancati dai Robben e dai Ribery, comporrebbero una formazione in grado di fare la voce grossa anche in Champions League, competizione che la società si è vista clamorosamente sfuggire nella scorsa stagione. Tutto alla faccia degli emiri e dei petro-dollari ed in dolce ricordo dei reni persi da avventati scommettitori.

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