La telenovela del 2012 si è risolta poco
più di un mese fa. Josep, detto Pep, Guardiola ha scelto il suo futuro
dopo una stagione in cui la “pausa di riflessione” – classica tra chi ha
vinto tanto – ha avuto la meglio su di lui. Soddisfatto dall’esperienza
al Barcellona il tecnico si è guardato attorno e ha valutato il meglio,
benché le offerte non mancassero. Roma, Inter e Milan hanno tentato a
più riprese di portare Pep in Italia, ma nonostante il richiamo di un
paese che professionalmente – a suo dire – gli ha dato tanto, non è
bastato il ricordo dei begli anni a Brescia in coppia con Roberto Baggio
a convincere l’ex centrocampista a tornare da noi.
Non solo Italia però. Anche in Inghilterra il Chelsea di Abramovich ha
tentato a più riprese Guardiola: il presidente dei Blues vedeva lui per
il dopo Di Matteo, identificandolo nella figura ideale per dare
continuità ad un progetto culminato qualche mese prima, a Monaco di
Baviera, quando il Chelsea alzò al cielo la Champions League. Niente di
tutto questo: Guardiola sceglie proprio la città che ha fatto tanto
sorridere Drogba e compagni, trasferendosi in Baviera e iniziando un
lavoro di osservazione che a giugno lo porterà a firmare un contratto
multimiliardario con il Bayern. Ad un primo impatto la scelta di
Guardiola ha spiazzato tutti, ma Monaco sembra la tappa ideale per un
tecnico che alla prima esperienza si è ritrovato a dirigere la squadra
più forte del mondo ottenendo i risultati più esaltanti della storia del
Barça. Non potendo replicare il modello Barcellona – e non potendo
clonare Messi, Xavi ed Iniesta – Pep ha scelto la sicurezza societaria e
la tranquillità di uno stato come la Germania, isola felice nel
grigiore attuale dell’Europa, accordandosi con un top club mondiale che
rappresenta un mix di ricchezza ed organizzazione. Il Bayern i suoi
campioni li ha già, ma d’altro canto ha le risorse economiche per
ingaggiarne altri, ed è stata proprio questa la discriminante che ha
portato alla scelta finale di un personaggio chiuso, preparato ma mai
fuori dalle righe, che dell’etica del lavoro ha fatto il suo cavallo di
battaglia.
La domanda che la sera sera del 16 gennaio si sono posti tutti è però
questa: perchè mai Guardiola, l’allenatore artigiano che in gilet,
giacca e cravatta ha plasmato la squadra più bella e vincente
dell’ultimo mezzo secolo, l’uomo che senza urli ma soltanto con gesti e
parole chiare ha portato al proprio Rinascimento calcistico il possesso
palla, facendolo uscire dal Medioevo della noia, perchè mai, dicevamo,
lui avrebbe dovuto accettare di allenare in Bundesliga? Per un semplice
motivo: progettualità. Per capire ciò bisogna tornare indietro nel tempo
e questo viaggio, naturalmente, partirà dalla Spagna, dalla Catalogna,
da Barcellona. “Mès que un club” è il motto del FC Barcelona ed è la
storia a narrare il fascino che la maglia blaugrana trasuda. Il club
catalano è diverso dagli altri perchè è una bottega di artigiani enorme,
ed i suoi successi di oggi, degli ultimi anni, sono frutto di un lavoro
iniziato ben prima dell’arrivo di Guardiola, ben prima dei record
infranti da Messi&co. nella Liga e nella Champions League. La
bottega artigianale del Barcelona inizia la sua attività nel lontano
1988, quando sulla panchina si siede da allenatore un certo Johan
Cruijff, uno che odia conformarsi e preferisce essere lui a dettare ciò
che è giusto e ciò che è sbagliato, facendosi poi obbedire di
conseguenza. Lui, l’olandese volante, in una follia mai così lucida,
ricostruì la squadra dalle fondamenta, facendo rinascere una società
giunta, a suo parere, ad un punto morto della propria esistenza. Con lui
nacque la cantera catalana. Fu lui a gettare i semi della rivoluzione.
Da calciatore, Cruijff, fu l’emblema del “calcio totale”, una filosofia
di gioco che sconvolse ed entusiasmò milioni di amanti del calcio quando
negli anni ’70, condotta dal maestro Rinus Michel, la selezione Orange
stupì il mondo intero andando vicino a due titoli mondiali.
Guardiola è solo l’ultimo tassello di un puzzle ventennale, il piccolo
bambino che da canterano porta la sua squadra a vincere proseguendo un
progetto – questo sì, lungimirante – per poi salutare davanti a
ottantamila tifosi con le lacrime agli occhi.
La prossima fermata è però la Bundesliga, il calcio tedesco, un mondo
nuovo e totalmente diverso dalla dimensione “casalinga” dalla quale
Guardiola esce dopo anni vissuti da protagonista. Lì si gioca sempre a
calcio, ma con la testa più leggera e le tasche più piene. Il Bayern
Monaco poi è un club che unisce la forza e la saggezza del calcio
storico europeo a questa nuova dimensione del calcio locale tedesco, che
riesce a plasmare squadre di primo livello spendendo, ma tenendo i
conti in ordine e dando sempre e comunque un occhio al proprio settore
giovanile. Se il Borussia Dortmund di necessità ne ha fatto virtù (i
campioni da noi non vengono? Ce li costruiamo, semplice), il Bayern,
grazie all’esperienza di Guardiola, potrà ulteriormente rafforzare la
propria struttura ed allora tutti saremo costretti a voltarci ed
ammettere che in Germania qualcosa di nuovo e di grande è davvero nato.
La scelta di Guardiola può cambiare gli equilibri del potere calcistico
europeo e questa credo sia la cosa abbia convinto Pep a dire sì al club
teutonico, e credo sia anche la cosa più affascinante di tutto il
discorso, senza contare che una sfida sulle panchine tra Klopp e
Guardiola sarà forse meno mediaticamente intrigante di quella del
catalano con Mourinho, ma calcisticamente potrà regalare altrettante
emozioni soprattutto se il mercato estivo dovesse portargli in eredità
campioni come Luis Suarez, Radamel Falcao e Isco che, affiancati dai
Robben e dai Ribery, comporrebbero una formazione in grado di fare la
voce grossa anche in Champions League, competizione che la società si è
vista clamorosamente sfuggire nella scorsa stagione. Tutto alla faccia
degli emiri e dei petro-dollari ed in dolce ricordo dei reni persi da
avventati scommettitori.
Nessun commento:
Posta un commento