Partiamo dalla fine. Al fischio finale di un Superclasico perso davanti ad un Monumental gremito di soli tifosi Millonarios, il River Plate tocca il momento più basso dell'ultimo decennio eccezion fatta per la vergognosa retrocessione del 2010, quando per la prima volta lasciò la Primera Division e finì negli inferi del calcio argentino. Fischi e insulti, dopo novanta minuti di incitamento e cori senza sosta.
Perchè in Argentina è così: il tuo impegno non passa inosservato, e la maglia conta più dei singoli giocatori; però non si può ospitare l'odiato rivale, per di più senza il supporto della "12" per via delle restrizioni imposte dalla federazione sulle trasferte, e perdere così. E' vero, la Banda non meritava di perderlo per vari motivi: in primis, perchè il gioco a sprazzi si è visto. Confusionario, senza capo nè coda il più delle volte, ma questi ragazzi hanno corso parecchio. In secondo luogo, la grande serata di Orion - estremo difensore del Boca - che ha detto sempre di no ad ogni tentativo del River, e quando non poteva opporsi, i pali si sono rivelati ottimi alleati. Per ben tre volte.
Però il River Plate da ormai due stagioni vive in un limbo. La retrocessione, dolorosa, portò una grande rivoluzione - obbligata - che Daniel Passarella fu costretto a mettere su per rivoltare come un calzino una rosa che aveva troppi scontenti e giocatori a fine carriera. Si è puntato sui giovani, molti dei quali sono saliti stabilmente in prima squadra, ma l'impressione è che - dopo il primo anno - il River sia rimasto mentalmente la stessa squadra che retrocesse nell'incredibile spareggio contro il Belgrano. Che è successo? Fondamentalmente, l'errore più grande è stato disfarsi di Matyas Almeyda, additandolo come capro espiatorio nel contesto di una squadra che esprimeva un calcio brutto e poco appariscente. Cosa che in effetti è vera, ma il senno di poi ci ha detto che la questione era di interpreti, e non di interpretazione. Dopo l'addio di Almeyda, Passarella ha deciso di tornare al passato affidandosi a Ramon Diaz, che vanta un credito illimitato verso la tifoseria millonaria visto il suo passato vincente da giocatore. Ma i fatti dicono altro: Don Ramon, dal giorno in cui si è seduto sulla panchina "sacra", ha beneficiato di molti più crediti rispetto ad Almeyda, ad iniziare proprio dal fattore ambientale. Il River di Almeyda veniva fischiato spesso e volentieri, ma il Pelado aveva una rosa qualitativamente molto inferiore a quella che la società ha costruito per Diaz, che oltre tutto ha avuto il permesso di portarsi a Nuñez tutto il suo staff al completo, figlio Emiliano compreso.
Si diceva della rosa. Altra grande differenza tra i due interregni dei tecnici. Mentre Almeyda ha dovuto ricostruire una squadra a pezzi, Diaz ha ereditato un gruppo con un semestre di esperienza al quale sono stati aggiunti - nella sessione di mercato terminata ad agosto - giocatori di livello come Carlos Carbonero, Jonathan Fabbro e Teofilo Gutierrez. Il primo, anche nel Superclasico, si è dimostrato giocatore da livelli europei risultando tra i migliori in campo, ma Diaz lo sta imbrigliando in un modulo che non ne esalta le caratteristiche da esterno alto. Con il suo dribbling, Carbonero è ideale in un 4-3-3, ma nel River Plate questo è un modulo improponibile per la presenza di Manuel Lanzini. Intendiamoci, Manuelito è un talento incredibile, ma per esaltare le sue qualità è tassativo il modulo con la mezza punta, e la conseguenza presenza di due punte che lavorano e segnano, nel contempo. Questo è stato un altro grande limite, nel quale Diaz ha un ruolo marginale; al momento di ingaggiare Gutierrez e Fabbro, la società si è poi rimangiata alcuni accordi economici con Cruz Azul e Cerro Porteño, che di conseguenza hanno bloccato i transfer dei giocatori fino a semestre iniziato. Risultato? L'unico possibile: con la cessione di Luna al Rosario Central (giocatore che per Don Ramon era finito), in campo ci sono andati Federico Andrada e Giovanni Simeone, ragazzi del vivaio che possiedono talento sì, ma da sgrezzare. Altra differenza non da poco tra le due gestioni tecniche è l'esplosione di Eder Alvarez Balanta, che Almeyda aveva convocato con i grandi, e con il quale Diaz si è trovato un centrale mancino pronto, fatto e finito. A Maidana, Almeyda aveva dovuto rinunciare, mentre ora il numero 2 è di nuovo al centro della difesa a picchiare l'attaccante di turno. Una difesa che però è andata spesso in confusione, dato che non si è ancora trovata la quadra. Meglio a tre o a quattro? Probabilmente e quattro, ma manca il terzino destro, cosa che non è più Mercado. E Vangioni, da laterale, perde molta incisività.
In sintesi: la rosa di adesso non può stanziarsi settima detro almeno a tre squadre qualitativamente meno complete come Arsenal, Atletico Rafaela e Belgrano. Urge una svolta, soprattutto da parte della società che deve sposare un progetto preciso e - anche senza soldi in cassa (come tutti, in Argentina) - puntare su un tecnico dalle idee chiare. Chi sognava la partecipazione alla Libertadores 2014 probabilmente rimarrà deluso, e se i risultati rimarranno questi, anche il credito di un eroe come Don Ramon potrebbe presto finire.
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