Viaggio tra i quartieri della capitale argentina. Nella prima puntata andiamo a scoprire Mataderos, casa del Club Atletico Nueva Chicago.
Una veduta di Mataderos |
Geno Diaz ci è nato, e nel 1984 ci ha scritto un libro che sa più di ode che di racconto. Un’ode alla terra che gli ha dato i natali. “Buenos Aires è solo la mia città, ma Mataderos è il mio barrío“. Finisce con queste parole “Bazar de 0,95“,
una delle pubblicazioni di questo autore che in tutte le sue opere non
fa mai mancare la postilla d’amore per il suo quartiere. Mataderos,
già. Chi segue il calcio forse non lo ha mai sentito nominare, perchè
in quello che è considerato la periferia occidentale estrema della Capitál Federál ci gioca il Club Atletico Nueva Chicago,
squadra conosciuta più per fattori extracalcistici che altro. Eppure
Mataderos è uno dei luoghi con più storia dell’intera Buenos Aires.
Fino al 1899, anno in cui in Italia veniva
alla luce il Milan, questo posto non era altro che un’immensa distesa di
prati e campi coltivati dai contadini. L’asfalto e i rumori della
città, con il suo relativo inquinamento, erano soltanto un racconto dei
padri di famiglia che durante il fine settimana scendevano nella
metropoli a fare compere. Ma proprio quell’anno cambiò tutto, perchè il governo argentino decise di costruire un enorme mattatoio,
il più grande d’Argentina a quei tempi, per creare occupazione in un
posto che offriva grandi spazi per edificare, senza però avere reali
opportunità di sviluppo. La novità attirò migliaia di famiglie, che
lasciarono soprattutto le province limitrofe per trasferirsi lì, a
Mataderos, dove si era creato all’improvviso un incredibile boom
occupazionale. Con l’arrivo di nuovi abitanti, si cominciò a costruire –
anno dopo anno – fino a far diventare il barrío un mix tra la
classe contadina, che continuava a lavorare le proprie terre, ed un
progresso impensabile fino a qualche tempo prima. Per questo, facendo
riferimento alla città statunitense, la zona venne ribattezzata “La Nueva Chicago“,
proprio perchè come la più celebre “sorella maggiore” anche questa zona
era diventata uno dei più grandi riferimenti per la lavorazione della
carne.
Prendendo spunto da questo soprannome, nel 1911 undici amici decisero di fondare il Nueva Chicago,
squadra che oggi milita nella terza serie argentina (la Primera B
Metropolitana, raggruppamento che riunisce tutte le squadre dell’area
limitrofa alla capitale) con un passato fatto di sali e scendi
abbastanza frequenti. Al campetto di Avenida General Paz si giocarono le prime partite, con questi ragazzi – capitanati da Felipe Maglio
– che dopo qualche tempo si trovarono a dover decidere i colori
sociali. Niente di più facile; dopo aver discusso su alcune alternativa
(un gruppetto avrebbe voluto il bianco-azzurro per omaggiare il Racing
Avellaneda), un pomeriggio – girando per le strade del quartiere –
Maglio e soci videro una signora molto bella vestita di verde e nero,
colori che diventarono così quelli ufficiali del club.
Dopo un trentennio passato nelle categorie inferiori, ecco arrivare la prima storica promozione in Primera. E’ il 1981, e il “Verde”
(come viene chiamato da quelle parti il club) riesce a stabilizzarsi
lassù per una sola stagione, al termine della quale retrocederà per
passare un altro ventennio nell’anonimato. Nel 2001 invece le premesse
sono diverse: la squadra domina la B Nacional, e nell’ultima
giornata di campionato deve giocare un vero e proprio spareggio sul
campo dell’Instituto di Cordoba. Sebbene il pronostico penda dalla parte
della Gloria, i 10000 supporters del Nueva Chicago spingono i
loro beniamini fino all’impresa. Finisce 2-3, e al termine arriva
l’inevitabile invasione di campo, che sarà poi un leit-motiv per questi
tifosi, balzati al centro delle cronache troppo spesso per fatti
incresciosi.L’anno dopo, in Primera, il Chicago parte male, ma alla quinta giornata ottiene la vittoria più prestigiosa della sua intera storia battendo al Monumental il River Plate
per 2-1, con reti di Mandra e Jesus che ribaltarono l’iniziale
vantaggio segnato da un giovane Cambiasso. Anche qui però, il sogno
svanì in fretta: un anno e via, di nuovo nell’oblio.
C’è però una terza promozione che nella mente degli appassionati di calcio argentino rimarrà impressa. Anno 2006, il Godoy Cruz
arriva a Mataderos per la partita decisiva di un campionato combattuto a
tre dall’inizio alla fine. Un arbitraggio discutibilòe di Pablo Lunati
spiana la strada al Tomba, che vince 3-1 con due rigori inesistenti e deve andare allo spareggio contro il Belgrano. Qui, il Verdinegro
si trasforma e scatena la potenza del suo tridente composto da Higuain
senior, Cesar Carranza e Lucas Simon, poi meteora del Piacenza, vincendo
e coquistandosi sul campo la terza promozione della storia. Da qui
inizia la parte peggiore: il campionato va male, i punti scarseggiano e
all’ultima giornata solo un perentorio 2-0 al Quilmes – firmato da
Mariano Donda e Lucio Filomeno – lascia al Nueva Chicago qualche chance
di salvezza. C’è uno spareggio da giocare, stavolta contro il Tigre, tra due squadre che storicamente non sono mai state amiche. Ed infatti, la tragedia è dietro l’angolo.
Nel ritorno del 25 giugno del 2007 i tifosi del “Toríto”
però decidono di mettere fine anzitempo ad una sconfitta annunciata,
forzando il cordone di polizia e inscenando un’autentica guerriglia con
gli avversari, al termine della quale perde la vita un tifoso del Matador.
Una tragedia, appunto, che avrà ripercussioni sulla società (20
giornate di squalifica del campo più 20 punti di penalizzazione in B Nacional)
e – inevitabilmente – porterà ad un’altra retrocessione in terza serie,
mitigata dall’ascenso del 2012 ai danni dei rivali di sempre del
Chacarita (un odio viscerale pari solo a quello provato per l’All Boys),
battuti in un playoff al cardiopalma.
Più che la storia del club, l’orgoglio di questa gente è però
rappresentato dal tifo. Fin dagli anni ’70, raccolti sotto lo striscione
dei “Toritos de Mataderos” (con il peronísmo come
cavallo di battaglia), non hanno mai fatto mancare il supporto alla
squadra, però con molti inconvenienti. La violenza dilagante in
Argentina non schiva la periferia, ed anzi, da un lustro nel quartiere
si danno battaglia due fazioni ormai irrimediabilmente divise. Da una
parte ci sono Los Perales, che occupano la parte nord di Mataderos, dall’altra Las Antenas,
che poco tempo fa hanno firmato una sorta di “patto” dopo anni di
regolamenti di conti. Quello del 2007, oltre ad essere il motivo
scatenante della scissione, è solo la punta di un iceberg enorme, che
comprende tutte le attività della malavita organizzata, una componente
inevitabile del tifo in Argentina. Ma Mataderos è anche un centro
culturale, dove annualmente si svolge una fiera che coinvolge artigiani
da tutto il paese, nel cuore di un barrío che ha nella’Universidad de La Matanza uno degli orgogli nazionali e nel Nueva Chicago il suo fiore all’occhiello.
Quest’anno le cose sembrano andare bene per
il club, attualmente primo in classifica e con la promozione in Primera
B Nacional nel mirino. Ma i soldi sono pochi, e per fare mercato non ce
n’è; per questo si punterà tutto sui ragazzi del vivaio e sull’effetto
casa, dove lo stadio – chiamato “República di Mataderos” come segno di appartenenza – si riempie ogni weekend con circa ventimila cuori in visibilio.
Non è chiaro comunque prevedere un futuro roseo o meno per questa società, ma Geno Diaz non avrebbe dubbi: “Quello che nasce a Mataderos ha qualcosa di diverso. E questo basta per essere speciali“.
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