Sebbene sia un paese 40 volte più piccolo del Messico e 190 volte più piccolo degli USA, il Costarica
dimostra come la tradizione conti poco nel calcio. I Ticos hanno tirato
fuori ancora una volta il meglio dai loro 4 milioni scarsi di
popolazione, proponendosi come una perenne spina nel fianco dei giganti
centro-nordamericani.
Il calcio centroamericano, fino a pochi anni fa, era poco considerato, o meglio, parecchio sconosciuto. Ora molto è cambiato,
grazie e soprattutto a Messico e Costarica, quest'ultima nazionale che negli ultimi venticinque anni si
è dimostrata una delle nazionali con un trend perennemente positivo,
eccezion fatta per qualche incidente di percorso.
Con il serbo alla guida, i Ticos
passarono incredibilmente la fase a gironi in un'estate italiana che
consacrò molte sorprese, e pochi - anzi, praticamente nessuno - si
sarebbe immaginato che prima o poi un'altra squadra avrebbe spazzato via
il ricordo di quel grande gruppo allenato da Milutinovic.
Fino
a pochi giorni fa. La Costarica parte per il Brasile con la sfortuna di
essere inserita in uno dei gironi più difficili dell'intera
manifestazione; contro Italia, Uruguay e Inghilterra l'obiettivo sarebbe
fare almeno una buona impressione, o almeno questo è quello che chiede "La Nacion", maggior quotidiano del paese con sede a San José. Jorge Luis Pinto, tecnico colombiano (di San Gil) che ha guidato il gruppo alla qualificazione, però non ci sta: "Se tutti ci danno per spacciati è peggio per loro. A volte la rabbia e la voglia di vincere fanno fare cose straordinarie".
Classe 1952, una carriera spesa in patria dove ha iniziato ad allenare
nel 1984 i Millonarios di Bogotà, Pinto ha seduto sulle panchine di
tutti i grandi club del suo paese, maturando esperienze sensibili che in
trent'anni lo hanno portato a toccare il traguardo più importante di
sempre nonostante i diversi titoli nazionali vinti in Sudamerica.
Chiamato alla guida della Tri nel 2011, Pinto ereditò una
situazione non facile perchè raccolse solo le macerie lasciate dalla
gestione La Volpe. Con il baffuto messicano, e prima con il brasiliano
Guimaraes, la Costarica fallì l'accesso a Sudafrica 2010, e quindi Pinto
ha deciso di rasare al suolo il gruppo storico per ricominciare dai
giovani così come aveva fatto nel 2004, sempre alla guida della
nazionale centroamericana, quando si fermò solo un anno. La brutta Gold Cup
disputata lo scorso anno, con molte seconde linee, ne minarono lo
status, ma la federazione gli ha concesso l'occasione del mondiale
brasiliano conquistatosi sul campo.
Nonostante lo scarso livello del calcio locale, Pinto ha pescato a piene mani nel torneo di casa, dal quale provengono ben dieci
elementi che in questo momento si trovano in Brasile. Nonostante le
assenze pesanti (ultima delle quali quella del bomber Alvaro Saborio,
stella del Real Salt Lake City in MLS, che si aggiunge al mediano
Azofeifa e al difensore Wallace, esclusi per motivi disciplinari), la
Costarica ha esordito col botto, regolando 3-1 l'Uruguay, e pochi giorni
dopo ha dato una lezione tattica all'Italia manifestandosi come una
sorta di Corea del Nord 2.0.
In
campo, vista la poca qualità generale, Pinto si affida ad un elementare
3-5-2 molto bloccato sugli esterni e praticamente "lucchettato"
centralmente. Al modulo collaudato si aggiungono alcuni elementi di
comprovata esperienza: il portiere Keylor Navas ha
vinto il premio come miglior portiere della Liga spagnola difendendo i
pali del Levante, mentre davanti ci si è affidati al 29enne Bryan Ruiz (soprannominato La Escoba, la scopa, per via della capigliatura) e alla verve di Joel Campbell,
talento classe '92 di casa Arsenal. La difesa, blindata, con il trio
Gonzalez - Duarte - Umana ha concesso pochissimo in queste uscite,
aiutata da due esterni interessanti come Gamboa e soprattutto Diaz.
Sulla trequarti gioca probabilmente l'elemento migliore in quanto a
tecnica, quel Bolanos stella dei danesi del Copenaghen che in questa
stagione hanno contribuito a fermare il sogno europeo della Juventus.
La lotteria dei rigori vinta contro la Grecia è poi storia recente, mentre l'Olanda rappresenta il prossimo futuro. Un futuro che, il 13 luglio, vedrà in programma la finalissima del Maracana. Un sogno? Forse, ma questa squadra ha una missione da
compiere: riscrivere la storia del calcio. E se poi andrà male, nessuno
potrà rimproverarle nulla.
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