sabato 7 ottobre 2017

Cinque argentini pronti per l'Europa



Il calcio argentino ultimamente non se la passa molto bene. Dalla riforma Grondona del 2015 infatti, il livello della Primera Division si è sensibilmente abbassato; la colpa di ciò è principalmente ascrivibile all'allargamento del campionato a trenta squadre, che di fatto ha provocato un netto disequilibrio in campo, rendendo il prodotto poco appetibile al grande pubblico. 


La scomparsa di Don Julio, padre padrone del fútbol albiceleste, ha però cambiato le carte in tavola: la federazione ha deciso – tramite un lento processo pluriennale – di tornare al campionato a venti squadre, omologandosi di fatto ai format europei di successo. La nuova Superliga prevede diversi nuovi paletti: basta Fútbol Para Todos, diritti televisivi venduti a due pay tv differenti e regole ferree per quanto riguarda il pagamento degli stipendi da parte dei club. Chi non si adegua è fuori. 

Tutti questi cambiamenti non hanno però soffocato il talento che da sempre il calcio argentino sa produrre. Sono numerosi i giocatori che durante le varie sessioni di mercato lasciano il paese per tentare l'avventura in Europa. Solo negli ultimi mesi, tanto per citare i casi più famosi, hanno salutato l'Argentina Sebastian Driussi, Lucas Alario e Ricardo Centurion. “El Wachiturro”, ex Boca Juniors, si è accasato al Genoa negli ultimi giorni di agosto, e nonostante il suo impatto immediato con la realtà italiana non sia stato dei più felici, già dai primi minuti giocati si è capito quanto le basi per fare bene in Serie A siano concrete. 

Il predestinato 
Il 2017 argentino, nonostante le parecchie difficoltà logistiche di cui sopra, sta portando in dote un'altra infornata di ragazzi interessanti, pronti a compiere il salto europeo. Uno di questi è senza dubbio Gonzalo Nicolás Martínez, numero 10 del River Plate e nel contempo uno dei pochi superstiti del biennio “piglia tutto” millonario. Se non lo avete mai sentito nominare non preoccupatevi, perché in qualunque telecronaca o articolo che proviene dal subcontinente Martínez è semplicemente “el Pity”. Un soprannome particolare, che indica “una persona dal carattere fiero, responsabile, poco incline ai litigi”, come ha recentemente specificato la sorella Juliana ad un giornale di Mendoza, luogo di nascita dell'ormai ventiquattrenne trequartista del River Plate. 

La sua parabola comincia infatti nel quartiere di Nueva Espéranza, ma l'ascesa al professionismo ha come riferimenti Plaza de la República e Parque Patricios, Buenos Aires. Dopo gli esordi con la maglia dell'Huracan, nel 2015 passa al River Plate e in pochi mesi si gudagna i galloni da titolare, giocando (e vincendo) da protagonista ben cinque titoli. Ma Martínez è molto più di una mezzapunta dai colpi effervescenti: dopo l'addio dei grandi nomi che avevano aiutato il club a rivincere la Libertadores, il Pity ha fatto parte del processo di ricostruzione che ha consacrato Marcelo Gallardo come uno degli allenatori emergenti più interessanti dell'intero panorama mondiale. La disponibilità a giocare per la squadra è la caratteristica che più lo distingue da tanti suoi connazionali; in questi anni Gallardo ha varato più moduli, a seconda delle individualità a disposizione, ma Martínez non è mai uscito di squadra. I grandi progressi in fatto di personalità hanno fatto il resto, portando il talento ex Huracan ad essere decisivo come nel Superclásico del maggio scorso, quando alla Bombonera ha giustiziato il Boca Juniors con un gol e due assist. 

La Serie A (o in alternativa la Liga) sarebbe il campionato ideale per le sue caratteristiche: ottima visione di gioco, tatticamente sa adattarsi ad esterno e possiede un buon tiro dalla distanza. Vedendo però il rendimento di Lanzini – dal quale ha ereditato ruolo e numero di maglia nel River – al West Ham, non è escluso che Marcelo Simonian possa provare a portarlo in Premier League.

 
Il Bombonerazo di Martínez, maggio 2017

Sedotto e abbandonato 
Tra un gol di Benedetto e una giocata di Cardona, nel Boca Juniors dei grandi nomi si sta mettendo in mostra Cristian David Pavón, esterno offensivo classe 1996 che nel corso dell'ultimo anno è finito sulla bocca un po' di tutti gli addetti ai lavori. Specifichiamolo subito: Pavón è fondamentalmente un giocatore che divide critica e tifosi, perché come troppo spesso accade, al talento cristallino è stata abbinata una testa che troppo spesso mal consiglia il ragazzo. Se è vero che il luogo di nascita dice tanto di una persona, la regola vale sicuramente per il ventunenne originario di Cordoba. 

Una città che vive di calcio, nonostante non abbia tradizioni di vittorie equiparabili alla capitale o a piazze storiche come Avellaneda o Rosario. A Cordoba però si respira una delle rivalità più antiche e calde di tutta l’Argentina: quella tra il Talleres ed il Belgrano. Lì, se non nasci “Pirata” (soprannome dei tifosi del Belgrano), giochi con la “T”: una sola lettera che comporta grandi responsabilità, soprattutto per chi ne indossa la maglietta. Con questi principi è cresciuto Pavón, un concentrato di velocità, imprevedibilità, intelligenza mixato ad una buona dose di faccia tosta, sia dentro che fuori dal campo. Per molti, il ragazzo lanciato nel professionismo dal Talleres, non è altro che la risposta xeneize a Sebastian Driussi, suo coetaneo e quasi suo compagno di squadra, visto che in estate veniva dato per fatto il passaggio di Pavón allo Zenit, su precisa indicazione di Mancini. 

Incassata la delusione per il trasferimento mancato, “el Kichán” (termine usato per indicare una persona perfezionista) si è rimesso a disposizione di Guillermo Barros Schelotto, in attesa di spiccare il volo verso l'Europa, dove tra i tanti estimatori c'è anche un certo Diego Pablo Simeone.

 
Pavón è diventato un beniamino dei tifosi del Boca Juniors. Soprattutto dopo questo gol.

Futuro colchonero 
Se per Gonzalo Martínez e Pavón il futuro è ancora indecifrabile, chi ben presto siederà su un volo verso l'Europa è Lautaro Martínez, nuovo gioiellino di casa Racing esploso la stagione scorsa grazie all'infortunio di Lisandro Lopez. Con la “Licha” fuori uso, il ragazzo originario di Bahia Blanca vanta già una discreta esperienza per essere un classe 1997. Solo nel 2017 ha segnato 5 gol in 20 partite con l'Académia: uno score apparentemente basso, “inquinato” però dai tanti impegni che Martínez ha avuto con la nazionale under 20, impegnata prima nel Sudamericano di categoria e poi nel Mondiale. 

La vetrina internazionale gli è valsa l'attenzione dell'Atletico Madrid, che avrebbe già raggiunto un accordo col Racing per una cifra che si aggira sugli 11 milioni di euro, due in più della clausola rescissoria fissata a 9. Martínez è il classico numero nove sudamericano, con una tecnica sviluppata e un buon istinto del gol. Alcune sue reti evidenziano proprio come il ragazzo “senta” la porta, una dote talmente rara che alcuni – in Argentina – hanno addirittura azzardato un paragone ai limiti del blasfemo con Batistuta. Più verosimilmente, il vero passaggio di consegne è avvenuto due anni fa, quando Martínez ha fatto il suo debutto in prima squadra prendendo il posto di Diego Milito: «Da bambino avevo due sogni – ha dichiarato recentemente – il primo era giocare al Cilindro, il secondo di diventare come Milito: sono a metà del percorso». 

La sua partita-manifesto è il clásico di Avellaneda di un anno e mezzo fa, quando a coronamento di una grandissima prestazione è arrivato anche il gol vittoria. Un gol che non solo gli ha concesso visibilità, ma lo ha anche proiettato nel cuore della tifoseria racinguista, la celebre Guardia Imperiál.

 
L'istinto del gol di Lautaro Martínez

L'erede di Falcao 
Nel 2015 Maximiliano Romero aveva solo 14 anni e già gli occhi addosso dell'Arsenal, che fece di tutto per soffiarlo al Velez. Alla fine saltò tutto, purtroppo, a causa di un brutto infortunio ai legamenti patito durante un'amichevole contro il San Lorenzo. Ma il successo era solo rimandato. D'altronde le capacità di “Maxi”, giovane punta cresciuta nel vivaio fortinéro, si intravedevano già allora, quando con la maglia del Velez giocava nelle categorie superiori alla sua, contro ragazzi anche due anni più vecchi di lui. 

La storia di Romero comincia a Loma Hermosa, Salta, luogo in cui è nato nel gennaio del 1999 e dove ha cominciato per caso a giocare a calcio. Fu infatti un amico di famiglia a supplicare il padre di iscriverlo nella scuola calcio locale, dopo averlo visto trattare il pallone in strada. La sua ascesa è stata particolarmente veloce, visto l'esordio con la prima squadra del Velez a soli 16 anni: «Fu un'emozione unica. Nessuno a quell'età è già in prima squadra, e giocarci così presto mi aiutato per accumulare quell'esperienza che di solito ci si inizia a costruire verso i 18», ha ricordato Romero a Diario Olé. Ha anticipato le tappe, Romero, che per ritagliarsi uno spazio da titolare ha dovuto prima convivere e poi scalzare definitivamente un mostro sacro del club come Pavone, guadagnandosi anche il soprannome di “Tigre” grazie alle sue affinità tecniche con il suo idolo Radamel Falcao. 

Romero gioca prevalentemente da prima punta in un attacco a tre, ma all'occorrenza può anche essere affiancato da un'altra punta, preferibilmente di movimento. Possiede doti tecniche indiscutibili, un ottimo piede destro ed un'elevazione particolarmente sviluppata vista la sua altezza. Romero è il classico sudamericano grintoso, caratterialmente forgiato dalla precocità del suo sviluppo dal punto di vista umano: a sei anni era già nel pressante ambiente Velez, a tredici viveva nella pensione del club, lontano dalla famiglia. Secondo Rolando Zarate, il suo agente, ancora oggi l'Arsenal ha un'opzione per il suo acquisto, ma il presidente Gamez non si accontenterà più degli spiccioli. 

Le ultime stime parlano di 6 milioni per l'80% del cartellino: una cifra importante, ma ampiamente alla portata di tanti grandi club.

 
In Tigre – Velez Romero segna un grandissimo gol: prima suggerisce il passaggio, poi attacca il secondo palo battendo il portiere avversario in acrobazia.

La novità 
Nell'ultima sessione di mercato il Napoli, alla ricerca di un esterno offensivo, citofonò al San Lorenzo per sondare la disponibilità di Bautista Merlini. Merlini è un nome sconosciuto ai più, soprattutto per chi non segue assiduamente il calcio sudamericano, ma in realtà è forse uno degli elementi più importanti del Ciclón. 

La produzione senza sosta di talenti offensivi non risparmia nemmeno il San Lorenzo, una squadra che negli ultimi anni ha vissuto di alti e bassi. Ripartire dai giovani è stato d'obbligo; tra i volti nuovi c'è anche quello del “Mago”, prelevato dal Platense per pochi spiccioli e successivamente plasmato da Diego Aguirre. Il tecnico ha fatto di Merlini uno degli esterni offensivi più efficaci del campionato, allargandolo definitivamente a sinistra per sfruttarne la rapidità nel breve. Merlini è infatti un ambidestro che nasce come centrocampista offensivo di raccordo, ma la sua voglia di migliorarsi lo ha portato a diventare di fatto un vero e proprio jolly offensivo. «Mi ha sempre impressionato per come si approcciava al calcio – racconta Pedro Espina, suo allenatore al Platense – lui studia il fútbol anche fuori dal campo e ha imparato che nella vita nulla si ottiene facilmente». Per diventare un professionista Merlini ha dovuto superare esami durissimi, come per esempio convivere con una malattia che ne ha di fatto fermato lo sviluppo sin dall'età di cinque anni. L'amore per il pallone è stato ciò che lo aiutato ad andare avanti, assieme ad una serie di specialisti tra i quali spicca un nutrizionista di fiducia, che il Mago ancora oggi consulta. 

Merlini sembra costruito per il calcio europeo, perché pur avendo una tecnica spiccatamente sudamericana, difficilmente si lascia andare in giocate inutili o fini a sé stesse. Al contrario, spesso vede spazi che altri non vedono, come testimoniano i diversi assist serviti nelle ultime due stagioni.

 
Qui Merlini spacca in due la difesa del Boca Juniors finalizzando alla grande una verticalizzazione fulminea

Nessun commento:

Posta un commento