martedì 11 giugno 2013

TORO.IT - Giappone, Zaccheroni e il lavoro conquistano il Brasile

Il calcio asiatico in continua ascesa. Quante volte lo abbiamo sentito dire? Parecchie, anche se occorre precisare che come per molte altre cose – la verità – sta nel mezzo. In ogni caso il Giappone contribuisce positivamente a rendere vera questa affermazione. Il calcio giapponese è in ascesa e sta diventando un prodotto sempre più commercializzato nel mondo occidentale, e questo grazie – e soprattutto – alla nazionale che sotto la guida di Alberto Zaccheroni ha centrato la quinta partecipazione di fila ai Mondiali. Valigie pronte e rotta verso il Brasile, dunque, e quel 1998 che portò esclusivamente umiliazioni sul campo sembra solo un brutto ricordo.
Ma andiamo per gradi. All’inizio degli anni 2000 i paesi asiatici si riscoprirono ricchi e voglioso di emergere nel calcio. Si formarono così due correnti politiche e di pensiero: quella araba, che prevedeva un ricco investimento di capitali per portare in Oriente giocatori famosi sulla via del tramonto o comunque a fine carriera, e quella nipponica. Queste due strade vennero intraprese nello stesso momento, ma in Giappone e Corea del Sud non c’erano i mezzi economici che avevano invece a disposizione gli emiri e gli sceicchi, così scelsero di crearsi in casa una base da poter modellare negli anni. Come? Con i tecnici. Dall’Europa arrivarono tantissimi allenatori pronti a mettersi in discussione, ai quali si chiedeva sin dai vivai di insegnare le basi del calcio più professionalmente possibile e, nel frattempo, di forgiare gli aspiranti allenatori del posto rendendoli autonomi.
Missione compiuta: in Giappone non arrivano troppi giocatori stranieri, e quelli che arrivano sono giovani (molti sudamericani), pronti a ripercorrere la carriera del brasiliano più famoso che sia mai stato scoperto in Giappone, la punta Hulk dello Zenit, comprato per una manciata di yen dal Porto e rivenduto a peso d’oro.

La preparazione alla base di tutto ha reso possibile il successo dei grandi. Nel 2010 la federazione giapponese è alla ricerca di un commissario tecnico per la propria nazionale, e dopo il mondiale sudafricano la scelta ricade sul serbo Milutinovic. “Bora” sembra voler accettare la sfida, che avrebbe un significato importante anche per lui stesso dato che è proprio il tecnico slavo a detenere il maggior numero di qualificazioni ai mondiali in tutta la storia del calcio (ben 5), ma pochi giorni prima dell’ufficialità i dirigenti federali spiazzano tutti e chiamano Alberto Zaccheroni, tecnico preparatissimo che in Italia arriva da due esperienze fallimentari maturate entrambe a Torino. Zaccheroni è dubbioso, ma al ritorno del primo viaggio a Tokyo si sente già un giapponese adottivo. “Questo è un mondo incredibile – disse dopo i primi giorni passati nel centro tecnico federale della capitale giapponese – l’organizzazione è minuziosa e sembra di essere in famiglia. Appena arrivato mi hanno subito affiancato tre interpreti”. Già, ma Zac nella sua testa aveva già chiaro il lavoro che avrebbe dovuto condurre, prevedendo in primis un ringiovanimento del gruppo reduce dalle ultime partite di due mostri sacri come Hidetoshi Nakata e Shunsuke Nakamura. Detto, fatto. Il tecnico si crea una rete di osservatori che scandagliano tutti i campionati locali e di tanto in tanto volano in Europa per osservare i senatori della squadra, e quando Zaccheroni scende in campo per le prime partite ufficiali già si capisce che questa è una corazzata.

Senza preclusioni per nessuno, chi va in campo gioca un calcio semplice e lineare esaltando le qualità offensive che possiedono gli interpreti del calibro di Keisuke Honda e Shinji Kagawa, nuovi idoli della folla post-Nakata. E poco importa se uno dei ragazzi più impiegati gioca nella B giapponese (il centrocampista Endo), perché è il gruppo a prevalere sempre. Inoltre, con l’avvento di Zac ed il suo staff molti ragazzi che militavano nel campionato locale, la J-League, hanno avuto occasione di mettersi in mostra e di conquistarsi la chiamata europea di club importanti come quelli tedeschi ed olandesi, migliorando di conseguenza anche la qualità portata da giocatori che settimana dopo settimana maturavano esperienza. Nel gruppo di qualificazione verso il Brasile non c’è stata partita, perché a parte qualche amnesia il Giappone ha dominato in lungo ed in largo tanto da non aver mai messo in discussione l’obiettivo poi ottenuto. Contro l’Australia, davanti ai 40 mila del modernissimo Saitama Stadium, è arrivata l’ufficialità grazie ad un rigore trasformato da Honda nel recupero. Il tutto mentre le nazionali arabe naturalizzano sudamericani e comprano in Europa giocatori con la pancia piena.

Quel giugno del 1998, quando i Samurai toccarono l’apice più basso della loro storia mondiale venendo sconfitti a Tolosa dalla Giamaica, sembra solo un lontano ricordo: in questi 15 anni i tecnici europei e l’abnegazione nipponica hanno fatto miracoli creando un vero e proprio movimento che ora vuole alzare l’asticella e conquistarsi le permanenza più lunga possibile in Brasile. “Con questi ragazzi tutto è possibile”, assicura Zac. E  credergli non è difficile.

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