martedì 4 giugno 2013

Toro.it - Misticismo e romanticismo avvolgono il Superclasico: Rosario ritrova il suo derby



“Essere di Rosario vuol dire essere in una maniera esagerata argentino. Fino alle estreme conseguenze”
Jorge Valdano

La barra del Rosario Central
Per parlare di calcio in Argentina non è necessario concentrarsi su Buenos Aires e sulla dualità Boca Juniors – River Plate,. C’è un’altra possibilità, un’altra città dove il pallone è la parte più importante della vita quotidiana. Questa città è Rosario. Rosario ha dato molto al calcio, e il suo derby in Argentina è considerato una delle partite più attese: Rosario Central contro Newell’s Old Boys, o, che è un po’ la stessa cosa, Che Guevara contro Maradona, Canallas contro Leprosos. Rivalità antica, che nel 1920 “battezza” le due squadre con i soprannomi tuttora attuali: dopo il rifiuto a giocare un’amichevole in sostegno della lebbra il Rosario Central venne catechizzato come Canalla (canaglia) mentre, di rimbalzo, i rossoneri diventarono Leprosos, ovvero “lebbrosi”.
 
Tutto molto romantico, se non fosse che da praticamente tre anni Rosario non vive uno degli avvenimenti sportivi più importanti del panorama calcistico mondiale. Con la retrocessione del Rosario Central nella seconda serie argentina il massimo campionato albiceleste ha perso uno degli eventi fondamentali per quanto riguarda l’aggregazione sociale ed il campanilismo. Ha perso il Superclasico, in una notte d’inverno dove le lacrime dei tifosi Canallas si mischiarono alla pioggia e accusarono il colpo di uno spareggio perso contro l’All Boys che significò retrocessione. 
L'Hinchada Màs Populàr, zoccolo duro del tifo "leproso"
Basta Superclasico, quello vero. Non quello che nel precampionato la federazione si ostina ad organizzare ma che i tifosi delle opposte fazioni, di comune accordo, fanno sistematicamente saltare causando incidenti nel prepartita; manca il derby vero, quello che vale tre punti e la possibilità di guardare il nemico con superiorità.
Manca proprio, il Superclasico. O meglio, mancava fino ad una settimana fa quando il Rosario Central dopo tre stagioni di purgatorio centra una promozione in un campionato iniziato in sordina, ma che alla lunga ha mostrato il valore di questo gruppo guidato da una vecchia gloria del club, Miguelìto Russo, una Libertadores conquistata con il Boca Juniors e una serie di fallimenti da fare invidia a Zeman. E’ la sera delle “canaglie”, che invadono la città e arrivano in corteo fino alla splendida Plaza 25 de Mayo per tirare mattino tra canti e fumogeni, in mezzo a vetrate di negozi pitturate e balconi addobbati a festa. Il tutto mentre l’altra realtà cittadina sta vivendo uno dei momenti migliori della sua storia. Infatti anche il Newell’s da ormai due stagioni si sta proponendo come una delle maggiori realtà argentina sotto la guida di Gerardo Martino, uno che da calciatore ha dato tutto per questa maglia ed è stato chiamato dalla società per ricostruire su anni di macerie lasciati dalle precedenti gestioni. Come il collega Russo, anche Martino ha lavorato sulla testa della gente e della tifoseria facendo leva sulla sua grande competenza che ha permesso al club di riportare a Rosario - sponda rossonera - giocatori che dalla Lepra sono stati lanciati, come la punta Scocco o gli idoli di casa Maxi Rodriguez e Bernardi. Ah, cosa non da meno, il Newell’s è vicino al titolo e ancora in corsa per vincere Copa Libertadores e Copa Argentina.
 
Rosario capitale d’Argentina quindi? Pare proprio di sì. E come discorso ci sta, perché in campo ci vanno 33 titoli in totale (14 per il Central contro 19 per il Newell’s) e il fatto che, contrariamente ad altre metropoli, trovare qualcuno che non tifi per le realtà locali è praticamente impossibile. Perché a Rosario o sei indiano, o cowboy. E i tifosi lo hanno fatto capire in più di una circostanza. Quando il San Lorenzo provò a fondare una Filiàl (un club di tifosi), lo stabile che ospitava quest’organizzazione durò giusto il tempo che le due barras locali ne venissero a conoscenza e organizzassero una spedizione notturna, accompagnati da benzina e accendini. Per questo anche le due superpotenze di Buenos Aires, River Plate e Boca Juniors, non si sono mai permesse di avvicinarsi alla città nemmeno per sbaglio.
 
In campo e sugli spalti invece è una guerra continua. E ce n’è per tutti i gusti, anche estremi come l’uso di armi da fuoco o lame, che a quelle latitudini sono la rovina di uno spettacolo ai limiti del religioso, dove il profano si mischia col sacro. 
Ovviamente il rettangolo di gioco ha contribuito molto a costruire questa fama romantica del Superclasico rosarino: il già citato Menotti, Poy e Kempes sono state figure storiche del Central, mentre Valdano, Maradona e Batistuta – fino ad arrivare ad un giovane Messi – hanno rappresentato ciò che oggi è diventato il “Niuls” (com’è pronunciato dai suoi tifosi).
 
Ora Rosario vive un periodo mistico, con due squadre in netta ascesa e una città sottosopra, tra deliri di gioia e scorribande festose. E non importa quale sia l’obiettivo raggiunto, l’importante è gonfiare il petto e mostrare a tutti i propri colori. Perché Rosario non è Buenos Aires: qui, o sei indiano, o cowboy.

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