Giugno 2012. Una truppa di sconosciuti
festeggia ai confini del mondo. Sembra l’inizio – o la fine, scegliete
voi – di una bella favola. E in effetti di vera e propria favola si
tratta, solo che la fine – un anno fa – era in realtà solo l’inizio.
L’inizio di un cammino che avrebbe portato Tahiti a giocare la prima, e
probabilmente unica, fase finale di una Confederations Cup,
manifestazione riservata alle campionesse dei vari Continenti in mezzo a
colossi come la Spagna,
l’Italia e l’Uruguay, ma anche Messico, Nigeria e lo sparagnino
Giappone. E poi il Brasile, padrone di casa. Sì, perché quando si scrive
una favola è necessario scriverla come si deve, e quale modo migliore
per farlo se non ambientarla nella patria del calcio?
Tahiti vola dunque in Brasile, ma dietro a questa partecipazione alla
Confederations Cup c’è davvero una storia da raccontare. Il 10 giugno
2012 Tahiti è di scena al Lawson Stadium di Honiara, capitale delle
Isole Salomone, dove battendo la Nuova Caledonia si aggiudica l’ultima
edizione della OFC Cup of Nations, il torneo che vale l’equivalente del
nostro campionato europeo. In Oceania il livello calcistico è
bassissimo, pari ad una quarta o quinta serie italiana, e il risultato
del campo è l’incrocio di diversi fattori tra i quali la fortuna, la
disponibilità degli uomini migliori in quel momento e la voglia di
emergere. Tra questi fattori non c’è di certo la tecnica, dato che
l’unica squadra che può definirsi professionista è la Nuova Zelanda,
piena zeppa di giocatori che militano in Australia con l’apice di alcuni
che, attualmente o in passato, calcano i palchi più prestigiosi
d’Europa. Eppure, dopo otto edizioni in cui gli All Whites e l’Australia
(che oggi è stata inserita dalla Fifa nella zona asiatica) si sono
equamente spartiti la competizione smezzandosi di fatto l’albo d’oro,
ecco trionfare Tahiti. Arcipelago disseminato di isole nel quale il
rugby, la vela e la canoa la fanno da padrone, Tahiti per un giorno –
anche se nel piccolo – è diventato famoso per il calcio. E poco importa
se la Nuova Caledonia andrebbe ringraziata a vita per aver battuto la
Nuova Zelanda in semifinale, perché quello che conta – in questa storia –
lo scrive il piccolo stato famoso per le opere di Paul Gauguin e per il
mare incontaminato.
Tahiti, si diceva, affronta il calcio in maniera dilettantistica, basti
pensare che l’attuale ct Eddy Etaeta ha un contratto a gettone con la
federazione e, oltre lui, sono sotto ingaggio solo altri due dipendenti.
Il resto dell’anno, quando la nazionale non gioca, Etaeta lo passa
lavorando a Papeete, dove gestisce alcune aziende di famiglia. E così i
giocatori, tra i quali pochissimi possono dire di aver giocato a livelli
accettabili. Tra di loro il più famoso è Mahrama Vahirua, attaccante
rapido nato nella capitale tahitiana ma trasferitosi in Francia nei
primi anni di vita. Vahirua, entrato a far parte del vivaio del Nantes
da ragazzino, ha optato dapprima per la nazionalità francese che gli ha
permesso di fare qualche comparsata a livello giovanile per poi – l’anno
scorso – essere convinto da Etaeta a vestire la maglia biancorossa. Un
invito accolto a braccia aperte dal ragazzo di Papeete, che oggi gioca
in Grecia nel Panthrakikos dopo aver girovagato in lungo ed in largo la
Francia. Oggi è l’unico a militare in Europa, mentre il resto della rosa
gioca nel campionato locale ed è rappresentata, per buona parte, da
elementi di Tefana e Dragon, le due “grandi” del paese. In passato altri
giocatori si sono cimentati nel calcio del Vecchio Continente: il
difensore Tamatoa Wagemann ha militato in Germania, Svizzera e Francia
(in tutti e tre i casi, in quarta serie), mentre la punta Steevy Chong
Hue (match winner nel 2012 contro la Nuova Caledonia) ha giocato in
Belgio nel Bleid-Gaume. Il migliore – oltre Vahirua – è stato un altro
difensore, Nicolas Vallar, arrivato fino alla B portoghese con il
Penafiel. E’ lui il capitano di questa selezione, insidacabilmente,
nonostante l’arrivo di un big come Vahirua.
Ma Tahiti, tanto per non farsi mancare nulla, è anche teatro di una
bella storia familiare. La famiglia Tehau, tre fratelli (di cui due
gemelli) e un cugino, costituisce l’asse portante della squadra sul
terreno di gioco. Alvin, Lorenzo, Jonathan e Teaonui giocano assieme da
quando erano bambini, ed insieme hanno compiuto un percorso parallelo
che li ha portati ad affermarsi nel campionato locale. I tre fratelli
giocano nel Tefana, vincitore dell’ultimo titolo, mentre Teaonui è il
punto di forza dell’attacco del Dragon. In Brasile ci sono andati tutti e
quattro, e dalla sera del 17 giugno sarà sicuramente Jonathan quello di
cui ci si ricorderà.
E’ il 54° di Nigeria – Tahiti, il risultato è fermo sul 5-0 per le
Aquile Verdi e Vahirua batte un angolo sul secondo palo che Enyeama
battezza male; dall’altra parte c’è Jonathan Tehau, che di testa spinge
la palla in rete. E’ il tripudio tahitiano, un mix di urla e pagaiate
(esultanza in onore dello sport nazionale) che si ammucchiano a
centrocampo come un corpo solo, quasi a simboleggiare l’unità che ha
spinto questi ragazzi ad arrivare fino qua. Ragazzi che in patria, oltre
a giocare, lavorano otto ore al giorno prima di andare ad allenarsi.
Poi arriva la Spagna, 10-0, e l’Uruguay, 8-0, e ovviamente la storia
cambia. Ma non cambiano loro: mai un intervento scomposto per fare male,
mai una protesta – nemmeno sul rigore regalato alla Spagna e sbagliato
da Torres – e soprattutto un rispetto incredibile per l’avversario che
ha indotto tanti giocatori di Nigeria, Spagna e Uruguay a snocciolare
complimenti per la professionalità di Tahiti, che alla fine dell’ultima
partita ha srotolato uno striscione di ringraziamento al paese che li ha
ospitati. Luis Suarez, asso uruguayano, nel post partita con la Celeste
ha fatto una foto con Lorenzo Tehau, subito postata su Twitter: “Un
sogno che si avvera”, ha scritto il polinesiano.
Ma i sogni, si sa, sono desideri. Molto spesso di felicità.
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