martedì 7 gennaio 2014

SPECIALE - Lo Zambia a vent'anni dalla tragedia: la rinascita dei Chipolopolo



"Il calcio? Io odio il calcio". Possibile? Sì, se sei la signora Chabala. La moglie di una delle leggende del calcio zambiano, il portiere (e marito) Efford, torna sull'episodio che ha stravolto per sempre la storia del paese. Infatti, il 27 aprile del 1993 si consuma la più grande tragedia che l'Africa ricordi, e da qui a pochi giorni ci sarà il ventennale di un avvenimento sul quale - ancora oggi - non è stata fatta chiarezza.


In trasferta alle Isole Mauritius, lo Zambia gioca - e vince - un match delicato in vista di Usa '94. Al Mondiale americano, i Chipolopolo non possono e non vogliono mancare. E gli ingredienti per fare bene ci sono tutti, dato che da qualche tempo lo Zambia è diventata la più grande realtà calcistica a livello continentale, capace di annoverare tra le proprie fila giocatori importanti esplosi grazie alle esperienze europee. Dopo la partita, ci si prepara per volare in Senegal, dove ci si giocherà una buona fetta di Mondiale. Ma a Dakar, lo Zambia, non ci arriverà mai. Appena decollati dalle Mauritius, l'aereo militare che trasportava la delegazione in Senegal è costretta, per un guasto tecnico, a far scalo a Libreville - in Gabon - dove dopo qualche ora, appena ripreso il volo, cadrà inesorabilmente sulle coste della capitale gabonese. E le cause, ancora oggi, sono sconosciute. Dal crash del CT 15 dell' aeronautica zambiana nessuno s'e' salvato: soltanto una spinta del destino ha preservato tre nazionali, e Kalusha Bwalya - all'epoca in forza al PSV di Eindhoven - e' tra questi. 

Kalusha Bwalya, ai tempi della nazionale

Ma chi erano questi giganti d'ebano conosciuti in tutto il mondo? Kwangju, Corea del Sud, 19 settembre 1988. Alle 18,45 locali (le 10,45 da noi), il calcio italiano centra un' impresa storica: fa scolorire l' umiliazione di Middlesbrough (Mondiali ' 66, 1-0 dalla Nord Corea, gol del mitico Pak Doo Ik) e riaggiorna il proprio archivio delle vergogne. Sul campo coreano teatro del torneo olimpico, l' azzurro scompare dietro la sagoma di undici calciatori dai nomi impronunciabili. Il nero vince, il rosso (della vergogna) si dipinge sul volto dei ricchi pargoli di Francesco Rocca. E uno 0-4 che brucia la pelle e allarga le nostre esperienze. "Zambia: che Paese e'? In quale angolo di mondo sta"? Come accadde nel '66, quando l' Italia fu aggiornata sulla guerra del '53 e sul 38° parallelo, il tuffo negli archivi cui vennero costretti i cronisti presenti alla disfatta fece affiorare storie di ordinaria magia. Zambia, ex Rhodesia del Nord, Africa nera, territorio grande due volte l'Italia, 6 milioni e mezzo di abitanti, una lingua ufficiale (l' inglese) e tre dialetti da fiaba (Bemba, Nyanja e Tonga), religione animista, economia agricola, calcio terzomondista, tradizione sportiva zero (sei partecipazioni olimpiche, un bronzo nel pugilato). A rappresentarla, un ex minatore che si chiama Bwalya, ma per gli zambiani è semplicemente Kalusha, il suo nome di battesimo. Stefano Tacconi se lo ricorderà di certo: primi tre gol segnati tra lo stupore generale, arrivati prendendo a spallate la povera difesa azzurra, e l'autorete di Pellegrini propiziata con un'iniziativa personale, che rappresentò l'inizio ad una scalata verso l'elìte del calcio africano. Lusaka, la capitale, quella notte del settembre '88 fu riempita di canti, balli e libagioni da far impallidire la festa per l'indipendenza celebrata 24 anni prima. 

Lo Zambia 1993

Solo un lustro dopo, uno strascico nero avvolge un intero continente. Lo Zambia non c'è più, e le prime settimane da questo evento sono le peggiori. A Lusaka fu proclamato il lutto nazionale, e vennero sospese tutte le attivita' sportive per onorare la memoria di quella squadra. Pianse una Nazione intera, cosi' come piansero l'Italia nel '49 per la tragedia di Superga, o l' Inghilterra nel '58 per il dramma che cancellò il Manchester United, e tutti quei Paesi che hanno dovuto sopportare lutti di questa portata. Ma il destino, la maggior parte delle volte, riserva incredibili sorprese, come quando nel 2012 lo Zambia vince per la prima volta la Coppa d'Africa, battendo ai rigori la Costa D'Avorio - favoritissima alla vigilia - alzando così una coppa che nemmeno quella generazione d'oro era mai riuscita ad alzare. La particolarità? Lo scenario, Libreville, lo stesso dove 18 anni prima molti dei ragazzi in campo avevano visto morire i loro idoli di infanzia e dove, nel pomeriggio prima della finale, gli stessi giocatori avevano organizzato un'escursione sulla spiaggia dove avvenne il tutto, portando mazzi di fiori e pregando. Hervé Renard, francese di nascita ma africano d'adozione (e ct campione), commentò così, a caldo, la vittoria: "E’ stata la vittoria della determinazione sulla disperazione – si lesse sull’edizione on line del quotidiano The Post, uno dei più letti a Lusaka e dintorni – il futuro non appartiene ai deboli di cuore, ma ai coraggiosi. Diciannove anni fa abbiamo perso la nostra squadra in un terribile incidente aereo, ma abbiamo ricominciato daccapo, senza farci spaventare da alcunché. Ora rallegriamoci per il risultato raggiunto come persone di ragione, non come ignoranti o idioti che vanno in giro a distruggere le cose e a mettere in serio pericolo la vita di altre persone. Non abbiamo alternative, dobbiamo continuare a sognare, con la speranza per un futuro migliore per la nostra nazione. Lo Zambia ha vinto la Coppa d’Africa, sembrava impossibile. Non dobbiamo perderci d’animo ed avere fiducia che le cose possano cambiare”.

La vittoria del 2012 in Coppa d'Africa, rappresenta un punto di svolta per lo Zambia. E' lo stesso Bwalya a raccontarlo: "Quando venni a sapere dell'incidente rimasi di sasso. Non potevo crederci. Ma col tempo abbiamo reagito. Io e gli altri (Johnson Bwalya e Charles Musonda, gli unici sopravvisuti oltre a Kalusha ndr) ci siamo detti che non potevamo mollare, e non rendere omaggio ai nostri amici. Così ci siamo riorganizzati e abbiamo rifondato la nazionale, mancando il mondiale di poco".
Perchè il popolo dello Zambia, come sottolinea proprio Bwalya, "è tenace ed orgoglioso", e ama il calcio in maniera viscerale.

Il monumento ai caduti, a Lusaka

Col passare degli anni, Lusaka ha voluto rendere omaggio a quegli sfortunati eroi; nella piazza di fronte allo Stadio Nazionale (rinominato National Heroes in loro onore) è stato costruito un monumento ai caduti, ai piedi del quale fa bella mostra una targa celebrativa che riporta i nomi di tutti i giocatori morti quel giorno. In modo che tutti, passandoci davanti, possano fermarsi per una preghiera o anche solo per un momento di riflessione. Parallelamente, un comitato formato dalle mogli dei calciatori porta avanti da anni una battaglia contro il sistema, cercando di far riaprire una cartella che riguarda quel tragico giorno, forse richiusa troppo precipitosamente. Nonostante lo Zambia combatta da anni contro un debito enorme che non permette di migliorare la condizione economica interna, il nuovo presidente Michael Sata, eletto nel settembre 2011, ha promesso di dare il via ad una lunga stagione di riforme, vincendo le elezioni e prendendosi a cuore anche il caso del CT 15 sbriciolatosi a Libreville, lottando perchè il governo del Gabon - paese con il quale i rapporti non sono più idilliaci da anni - possa fornire documenti fino ad oggi inspiegabilmente secretati.

Quando arriverà quel giorno, molti saranno soddisfatti potendo festeggiare un'altra "Vittoria di Libreville". Magari continuando ad odiare il calcio, ma guardando con occhi diversi quei bimbi che calciano un pallone nelle polverose strade di Lusaka, col cuore pieno di speranza. Un giorno, forse, gli eroi saranno loro.

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