L'isola di Madeira è certamente ben nota come meta turistica. Dispersa nell'Oceano Atlantico, è probabilmente più vicina all'Africa, ma avendo dato i natali ad un certo Cristiano Ronaldo si ritiene orgogliosamente portoghese. Nonchè il posto ideale per giocare a calcio.
Mateus Galeano da Costa si è certamente goduto i suoi anni qui, quando presiedeva il centrocampo del Nacional, club locale che nella sua storia ha vinto meno di quello che meritasse effettivamente. Ma Mateus ha imparato a giocare altrove, in Angola: "E' stato fantastico nascere e crescere in Angola - dice oggi compiaciuto questo centrocampista classe 1984 - Adoro il mio paese, ho iniziato a giocare a calcio per strada, quando ero molto piccolo, per divertimento, con i miei amici. Passavamo giornate intere a calciare una palla di stracci, e questo ci bastava, nonostante le difficoltà che inevitabilmente ci si paravano davanti tutti i giorni". "Il calcio - continua Mateus - è sempre stata una distrazione dalla guerra e dalla povertà".
Professionista da più di dieci anni, Mateus, ma con una carriera dall'andamento particolare ed inaspettato; sono molti gli angolani che si trasferiscono in Portogallo, loro ex potenza colonizzatrice, e come tanti Mateus si è unito alla nutrita schiera di emigranti che ogni anno sbarca in terra lusitana. A differenza di altri, non è però arrivato con un pallone sotto il braccio, anche se - nonostante ciò - la bravura con una sfera tra i piedi non è passata inosservata, così come la sua smisurata ambizione di emergere.
"La mia carriera in Portogallo è iniziata in modo molto strano - confessa in un'intervista a tutto tondo sul sito ufficiale della FIFA - Non arrivai con l'intenzione di diventare un calciatore professionista. Venni a studiare, perchè avevo dei parenti e mio zio si offrì di ospitarmi. Giocavo nel quartiere con altri coetanei, ma un giorno un dirigente dello Sporting mi chiese se mi sarebbe interessato un provino da loro". Mateus così ci prova: "Ero giovane e felicissimo, così ci andai e ai dirigenti piacqui molto. Pensavo di avercela fatta, ma al momento del responso mi dissero che ero bravo, ma che non potevano ingaggiarmi".
Così questo ragazzo, che intanto ha terminato gli studi, prende la decisione più saggia per il suo futuro, ovvero continuare a giocare in Portogallo, seppure in club minori che militano spesso in terza serie. Per fortuna c'è la nazionale angolana, che gli permette - se da un lato la scalata sembra improba - di mettersi in mostra in altro modo. Nel 2006, apparentemente dal nulla, l'Angola si qualifica per la Coppa del Mondo in Germania, arrivando clamorosamente davanti alla Nigeria nel gruppo di qualificazione, e Mateus - allora 22enne - viene sorprendentemente convocato. "Pensavo di essere troppo giovane all'epoca per essere convocato dal mister - ricorda con un sorriso divertito - Tuttavia, mi chiamò e mi anticipò che sarei stato chiamato per completare la rosa, per far parte della squadra, ma che non dovevo aspettarmi di giocare. Mentre lui mi parlava io quasi non lo ascoltavo: ero al settimo cielo già solo per il fatto di essere tra i 23".
Un gita in terra teutonica? No, perchè invece Mateus gioca già nella prima partita, contro il Portogallo. "La squadra si comportò bene - dice il mediano - perchè nonostante la festa che ci fu in Angola dopo la nostra qualificazione, la gente non credeva che avremmo fatto molta strada. Dovevamo giocare con Portogallo, Messico ed Iran, e la gente pensava che ne avremmo presi cinque o sei per partita". Ma all'esordio, le Palanças Negras mostrano una grande compattezza. "Perdemmo 1-0 dopo una gara in cui abbiamo dato tutto. Ricordo che la decise Pauleta, ma poi nel finale il loro portiere fece un paio di miracoli incredibili. Sì, direi che avremmo potuto strappare un pareggio senza che nessuno potesse dire nulla". Ma la sconfitta è servita: "Sì, perchè la gente ha iniziato a credere in noi", dice Mateus. Purtroppo ci si mette in mezzo anche la sfortuna; contro il Messico finisce 0-0, con Zé Kalanga che all'ultimo minuto coglie un palo clamoroso che strozza l'urlo in gola al settore assiepato da tifosi africani, mentre con l'Iran, in una partita dominata, finisce 1-1. Il sogno svanisce, ma la soddisfazione resta. "La cosa più bella - conclude il leader angolano - è stata uscire a testa alta. In Angola c'era un'atmosfera incredibile ad attenderci, per un attimo ci siamo sentiti noi i campioni del mondo, mancava solo la coppa. Certi eventi non si possono dimenticare".
Purtroppo però per l'Angola non seguiranno risultati simili negli anni a venire, perchè quella del 2006 fu la classica eccezione. Eppure l'Angola, rispetto agli standard africani, è un paese abbastanza benestante, ricco di petrolio e minerali che hanno contribuito ad un vero boom economico nella capitale Luanda. Di sicuro non ci metteranno molto a dare vita ad una nuova nazionale competitiva: "Non abbiamo raggiunto grandi traguardi perchè l'Angola non ha mai investito nel calcio - è la chiosa finale di Mateus - Non sono ancora mai state create le condizioni per le quali i club locali sfruttino a dovere i settori giovanili, veri e propri serbatoi per le nazionali e potenziali ragazzi da esportare. Abbiamo buoni giocatori, ma nessun campione. Dobbiamo rilanciarci, ricreare le condizioni che permettano alla gente di voler giocare al calcio".
Sicuramente, a dare una mano alla federazione, ci sarà anche lui; a partire da quest'anno infatti Mateus è tornato in patria, dove difenderà i colori del Primeiro de Agosto, club tra i più importanti dell'intera Angola. Di sicuro, dal suo bagaglio d'esperienza, troverà parole e motivazioni da rivolgere ai suoi giovani colleghi.
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