sabato 23 agosto 2014

INTERVISTA - Davide Bozzano: "Genio e sregolatezza, questo è il calcio peruviano..."

Prosegue il nostro viaggio tra i vari campionati mondiali. Oggi Pallonate si sposta in Sudamerica per parlare di Perù, paese che calcisticamente meriterebbe decisamente di più rispetto al momento storico che sta vivendo. 



Per parlare di Descentralizado e movimento "franjeado", sulle nostre pagine è intervenuto Davide Bozzano, massimo esperto dell'argomento in Italia e "penna" pungente del portale Calcio Sudamericano. Con lui ci siamo fatti una lunga ed intensa chiacchierata, provando a sviscerare unargomento sconosciuto ai più, sopratutto in un paese come l'Italia che rifiuta a priori tutto ciò che non è Serie A.

D.: Iniziamo dal campionato, uno dei più cervellotici dell’intero panorama sudamericano, appena toccato da una recente riforma. Com’è strutturata la stagione peruviana? 
R.: “La stagione peruviana inizia a febbraio e termina a metà dicembre ed è un po’ difficile stabilire una linea base di come è strutturata la massima divisione nazionale, questo perché la federazione tende a variare quasi ogni stagione la formula in questione. Un dato è comunque certo: la complessità dello svolgimento è sempre elevata, qualunque sia la formula. Quest’anno si è deciso di rispolverare la vecchia Coppa Inca, detto anche Torneo Verano, che in spagnolo significa estate, in programma proprio nei mesi estivi sudamericani, appunto febbraio, marzo ed aprile. Per far assumere la giusta importanza alla cosa, la vincente di tale coppa ha diritto ad un posto nella prossima Libertadores, mentre la finalista accederà alla Sudamericana. La formula prevede la suddivisione delle 16 squadre di prima divisione in due giorni da 8, con finale andata e ritorno fra le due vincenti. Dopo si parte con il campionato vero e proprio: un’andata a girone unico che decreta il campione dell’Apertura ed un girone di ritorno detto invece Clausura. E qui rientriamo nei parametri tipici di parecchi tornei sudamericani. La particolarità del calcio peruviano è la presenza di numerose… chiamiamole così… ‘varianti’. Per esempio per decretare il campione si ricorrerà alla finale fra i vincitori delle due fasi solo se nel girone in cui non sono arrivati primi sono arrivati almeno nelle prime otto. In questo caso farà fede la cosidetta ‘tabla acumulada’, ovvero la somma dei punti. Inoltre le ultime classificate della Coppa Inca verranno penalizzate di 3 punti e l’anno scorso accadeva lo stesso se non si schierava un ‘tot’ di giovani nel corso del torneo. Non essendo calcolata la cosa a numero di presenze bensì a minutaggio, lasciamo imm aginare l’incertezza sulla classifica che regnava fino alla fine. Una formula così mastodontica prevede che ogni squadra giochi nel corso della stagione almeno 44 partite… senza contare le varie finaliste, in questo caso il numero aumenta fino a 49, con eventuale spareggio compreso”. 

D.: In Perù si gioca spesso, quasi sempre. Secondo te quali vantaggi offre – se ne offre – il fatto di non interrompersi mai? I club ne traggono benefici?
R.: “ Personalmente non vedo vantaggi se non forse gli introiti tv ai vari club. Più partite significa più incontri trasmessi, quindi più passaggi pubblicitari, visibilità e soldi che incassano le società. Il fatto è che i tifosi peruviani, come ormai anche quelli europei, italiani in primis, non posso stare dietro al ritmo forsennato di un calendario che, coppe internazionali escluse, spesso prevede partite ogni tre se non addirittura due giorni. In Perù, inoltre, c’è anche un problema grosso di viabilità: diventa difficile sotto ogni aspetto, soprattutto economico, che un tifoso ad esempio limeno assista ad un match in casa il lunedì e poi debba andare qualche giorno dopo a seguire la sua squadra ai piedi dell’Amazzonia o sui 3.200 metri di Cusco. Il risultato sono stadi, eccezion fatta per le grandi sfide o ‘clasicòs’ quasi tutti però fra compagini della capitale, pietosamente vuoti o quasi, con addirittura anche picchi minimali di 250 – 300 presenze”. 

D.: Come reputi il livello calcistico peruviano? Il fatto che nessun club riesca a fare bene fuori dal paese è un fattore indicativo?
R.: “Inutile negarlo, il livello è basso e lo dicono soprattutto i numeri: da 32 anni la nazionale non si qualifica per una fase finale del mondiale. Lasciamo da parte grandi potenze calcistiche quali Brasile ed Argentina, mettiamoci anche la Colombia, ma prendiamo ad esempio l’Ecuador, che spesso e volentieri invece si qualifica. Per non parlare del geograficamente piccolo Uruguay: 176.000 kmq. contro i 1.285.000 del Perù, 3.431.000 abitanti circa contro 30.400.000 eppure hanno vinto due mondiali, parecchie coppe America e sono spesso protagonisti nelle manifestazioni internazionali. E’ vero la diversa cultura calcistica, mettiamoci pure probabilmente anche il discorso di una diversa situazione economica, però con un po’ più di lungimiranza ed organizzazione anche in Perù qualche risultato in più potrebbe arrivare. Nell’ultima ed anomala Coppa America (tutte le big fuori quasi subito…) la nazionale è andata benissimo, però poi non si è più riusciti a dare un seguito agli interessanti risultati conseguiti. Peccato perché il movimento alla base è apprezzabile, di gran lunga superiore alle giovanili di altre nazionali sudamericane attualmente in difficoltà quali Paraguay e Bolivia. Prendiamo il titolo ‘sub 20’ di Coppa Libertadores vinto dall’Universitario qualche anno fa, il titolo continentale ‘sub 15’ con sugli scudi il capocannoniere del torneo Iberico, la stessa squadra ora protagonista alle olimpiadi giovanili in Cina. Risultati apprezzabili che però non danno un seguito quando si tratta di fare il cosiddetto salto di qualità, nonostante tanti giovani giochino nel massimo campionato come ad esempio nell’Universitario, una delle squadre con l’età media più bassa. La mia impressione è che arrivati in prima squadra, con tutti quegli impegni, i talenti non abbiano tempo a sufficienza per allenarsi con continuità sulla tecnica e così una volta che emigrano all’estero, quasi sempre non ancora pronti, finiscono costantemente in panchina. L’ultima generazione protagonista in Europa è quella che sta tirando la carretta, ovvero costituita dai vari Pizarro, Guerrero, Vargas, Farfan e Zambrano, ma dietro i vari talenti locali, tanto per citarne alcuni Flores, Yotùn e prima Advìncula e Pando, fuori dal Perù non hanno sfondato, nemmeno in campionati di seconda divisione. Soltanto ultimamente sta emergendo Reyna nel campionato austriaco, ma in un club di seconda fascia e dopo non aver brillato nel Red Bull Salisburgo. Purtroppo il Descentralizado non eccelle come livello, così come quello degli stranieri che lo calcano, per non parlare della carenza di tecnici in grado di far compiere quel salto di qualità citato. Le partite spesso sono divertenti in quanto ricche di gol, ma attenzione… in molti casi in seguito a grossolani svarioni difensivi e ad una fase tattica alquanto lacunosa. Non a caso, molte reti nascono da calci d’angolo o lunghi traversoni dalle retrovie che sorprendono la difesa di turno completamente fuori posizione. Un vero peccato in quanto giocatori veloci e tecnici non mancano, il che rende comunque le partite intense e gradevoli”. 

D.: Entriamo nello specifico. Il Descentralizado sta entrando nel vivo, e diverse squadre si contendono il Torneo Apertura. Chi vedi favorito? E chi pensi possa vincere il Clausura?
R.: “In entrambi i casi è molto difficile sbilanciarsi in un campionato come quello peruviano, suscettibile di stravolgimenti clamorosi anche in poche settimane. Prendiamo l’esempio dell’Inti Gas, fino a tre settimane fa leader del torneo ed incappato in tre sconfitte consecutive. Non a caso spesso e volentieri la classifica è alquanto interlocutoria: attualmente in vetta ci sono 4 squadre nell’arco di 3 punti o se preferite 6 in 4, mentre a metà classifica si passa dalla zona coppe a quella retrocessione in un… lampo, con 9 compagini in appena 5 punti. Con graduatorie del genere diventa davvero sottile la linea che traccia e determina i diversi obiettivi delle 16 contendenti. Per quanto riguarda l’Apertura, dovendo per forza sbilanciarmi, mettono lo Juan Aurich un passo avanti all’Universitario, in quanto a favore del ‘ciclòn del norte’ potrebbero pesare la maggior fame di vittoria nei confronti degli attuali campioni in carica e, soprattutto, il fatto di avere lo scontro diretto da disputare in casa all’ultima giornata. Ago della bilancia sarà il San Martìn, in grande spolvero nelle ultime settimane dopo un periodo d’appannamento: per i ragazzi di Mosquera sarà la vera e propria prova di maturità definitiva. Per quanto concerne il Clausura, oltre alle tre squadre già citate aggiungerei il Melgar, che avrà una rabbia particolare visto come ha buttato alle stelle questo finale di prima fase, ed il César Vallejo. Con la possibilità di poter ancora operare sul mercato però, non dimentichiamolo, con 2-3 ritocchi potrebbero tornare lottare per la vetta anche le tre grandi deluse di questa Apertura, ovvero Sporting, Alianza e Garcilaso, mentre l’Inti Gas lo vedo ancora un po’ troppo discontinuo per ambire alla zona Libertadores”. 

D.: La squadra più attrezzata, almeno sulla carta, sembra essere l’Universitario, che in rosa vanta diversi giovani interessanti. Su chi scommetteresti?
R.: “Se guardiamo in prospettiva della possibilità di affermarsi all’estero, un giocatore che mi piace molto è Ruidìaz, che tra l’altro è ancora giovane. L’ho trovato cresciuto e migliorato rispetto agli ultimi anni sotto vari aspetti: quest’anno ha letteralmente trascinato la squadra al primo posto, facendo spesso e volentieri, come si dice, reparto da solo. Dopo le disavventure finanziarie avute nelle ultime stagioni, i dirigenti crema hanno saputo fare di necessità virtù ed hanno puntato sul settore giovanile migliore del paese, tanto che ora sono parecchi i giovani che giocano in pianta stabile in prima squadra. Citare Christofer Gonzales è facile e forse scontato, per cui io consiglio di seguire Duarte ed Otarola, difensori rispettivamente del ’90 e’ 92, Martinez attaccante paraguaiano del ’93 e Flores su compagno di reparto del ’94, reduce da un’esperienza poco felice agli spagnoli del Villareal”. 

D.: Dopo aver vinto la Copa Inca, l’Alianza non si sta ripetendo sui livelli espressi nei primi mesi del 2014. A cosa si deve questa flessione?
R.: “Sicuramente agli organici non ancora completati dalle dirette avversarie in Coppa Inca, cosa avvenuta a ridosso dell’Apertura. Tale affermazione ha illuso il popolo alianzista ed ora deve fare i conti con una classifica che, problemi tecnici e tattici a parte, non rispecchia comunque il valore della rosa. Il fatto di giocare spesso e volentieri ad una sola punta non facilita il compito di una squadra chiamata, per fascino e blasone, a vincere sempre e quando invece si opta per uno schieramento più offensivo…finisce che Guevgeoziàn e Montes, quando non si pestano i piedi, vengano poco supportarti da un centrocampo sterile nella costruzione. Mancano un regista ed un trequartista / seconda punta di peso, uno per intenderci alla Guastavino o Rengifo, in grado di saltare l’uomo, creare la superiorità ed ispirare l’ultimo passaggio. Gli uruguagi Mìguez e Costa hanno altre caratteristiche, mentre Aguirre è troppo fumoso. Sia chiaro, il livello di gioco spesso e volentieri è gradevole, ma quando vengono bloccati il ‘delantero’ armeno o Montes, nessuno è in grado di inquadrare la porta ed ai biancoblu mancano almeno 5-6 punti in classifica dovuti a pareggi stretti, ottenuti dopo aver sciupato clamorose palle – gol, come quelle di Mìguez ed Aguirre contro l’Uniòn una settimana fa. Alla fine, con quei punti, l’Alianza non sarebbe poi così lontana dalla vetta e tante critiche non sarebbero arrivate. E’ chiaro però che con 13 gol realizzati finora, ovvero solo uno in più della penultima in classifica, il San Simòn, e tre più del fanalino di coda, Los Caimanes, è difficile pretendere di competere per qualche traguardo importante. Ho l’impressione che, ottenuto un posto nei preliminari di Libertadores grazie alla vittoria in Coppa Inca, quando la classifica è stata compromessa da alcuni risultati negativi, i ragazzi di Sanguinetti abbiano cominciato a pensare alla Coppa Sudamericana iniziata in questi giorni”. 

D.: Una delle realtà emergenti è senza dubbio il Real Garcilaso, nato solo nel 2009 e già protagonista anche in Libertadores dove ha tenuto in alto la bandiera peruviana. Quali ambizioni prevedi per il loro prossimo futuro?
R.: “Penso che solo in Perù possa nascere una società dal nulla…e dopo tre anni partecipare già alla Coppa Libertadores! Battute a parte… nutro molta simpatia nei confronti del Garcilaso, società dalla dirigenza seria e forte, puntuale nei pagamenti e che, dopo due stagioni in grande in prima divisione (due finali), non si è fatta prendere dall’isteria della mancanza di risultati rinnovando la fiducia al bravo tecnico Garcìa. Come si dice nei matrimoni in ricchezza o in povertà… qui sia vincendo che perdendo ‘el profesor’ non è mai stato in discussione. Dopo due stagioni da protagonista assoluta, la compagine del presidente Vàsquez sembra avere un po’ abbassato l’asticella degli obiettivi, dimostrando in questo grossa maturità nel non voler fare il passo più lungo della gamba. Complice anche un ambiente ottimale, quello andino, dove il pragmatismo e la concretezza locale lascia lavorare in tutta tranquillità la direzione celeste senza specchiarsi in illusori voli pindarici. E comunque… vincere ai 3.200 metri di Cusco rimane difficile ora come nelle stagioni scorse”. 

D.: Uno degli argomenti centrali a queste latitudini è senza dubbio l’altura. Molti club da anni vorrebbero rivedere la norma che permette di giocare sopra certi parametri di altitudine. Tu che opinione hai di questo fattore, spesso decisivo? 
R.: “Faccio l’avvocato del diavolo… ed appoggio gli andini. Secondo me il calcio è lo sport più bello del mondo, oltre che sicuramente più diffuso: oggi è (purtroppo) troppo business e commercio, ma per me rimane gioia, aggregazione e voglia di confrontarsi con gli altri. Se vai sulle Ande, in Sudafrica, in Australia o in Cina… quando fai conoscenza la prima cosa di cui parli è il calcio. Perché allora privare un peruviano o boliviano delle Ande la possibilità di poter andare allo stadio a vedere partite di livello? La butto sul provocatorio… allora perché nessuno si è mai lamentato quando una squadra mediterranea tipo spagnola, turca, israeliana ha dovuto recarsi in Siberia o Scandinavia a giocare un turno di coppa in dicembre con temperature impossibili? E che dire del gran caldo di certe edizioni dei mondiali tipo U.S.A. ’94, giusto per non parlare dell’ultima? Sia chiaro, giocare a 3.600 metri è un notevole handicap per chi non è abituato però non facciamolo diventare un alibi: nella disfatta dell’Argentina a La Paz, per esempio, l’altura ha influito notevolmente, ma non è che tutti sono andati a perdere in terra boliviana, così come non mi sembra che alla resa dei conti la Bolivia abbia falsato le ultime qualificazioni, in cui in casa ha vinto appena due volte. Una, se la memoria non mi inganna, contro il fanalino di coda Paraguay. Nelle coppe internazionali quante Libertadores o Sudamericane hanno vinto peruviane e boliviane delle Ande grazie ai vantaggi dell’altura? Solo una con il Cienciano nel 2003. A tal proposito ricordo che, in finale, ‘los cusquenos’ impattarono in casa del River Plate 3-3 e poi dovettero giocare il ritorno in casa, su pressione della federazione argentina, ad Arequipa (quindi non a 3.600 metri, ma a 2.300 ed in casa dei più acerrimi rivali degli andini), ottenendo lo stesso il successo finale. Quindi io dico di lasciarli giocare tranquillamente, far godere anche agli spettatori delle Ande lo spettacolo del calcio e, piuttosto, rimbocchiamoci le maniche noi… a livello del mare quando andiamo la. Loro sfruttano… la natura e non mi sembra un male: a barare sono altri e mi riferisco al doping ed all’ingresso di tutti questi magnati arabi e russi che cercano in tutti i modi di aggirare il fair play finanziario”. 

D.: Passiamo alla nazionale. Dopo il fallimento in vista di Brasile 2014 è stato allontanato Sergio Markarian. Al suo posto c’è un altro uruguayano, Pablo Bengoechea. Soluzione o semplice “piano B” dopo la rinuncia autorevole di Gareca? 
R.: “Secondo me piano B visto che, come hai detto tu, nei progetti della federazione c’erano Gareca e pure un certo Bielsa, quest’ultimo però obiettivo sicuramente fuori portata vista la caratura del personaggio. L’impressione è che manchi un vero e proprio piano di sviluppo e di rilancio del calcio peruviano e mi sembra che i dirigenti navighino, come si dice, a vista. L’allontanamento di Markarian, o meglio la sua fustigazione pubblica visto il trattamento riservatogli dai mass media locali, è frutto dell’onda emotiva per la delusione dalla mancata qualificazione al mondiale disputato a due passi, nonché della frustrazione in seguito ai 32 anni di digiuno. Il tecnico uruguagio avrà sicuramente commesso degli errori, ma soprattutto ha pagato l’assenza di alcuni elementi cardine in match fondamentali all’andata (Vargas e Farfan per citarne un paio) ed un rendimento al di sotto delle aspettative da chi in passato aveva fatto la differenza. I detrattori di oggi di Markarian, probabilmente, sono gli stessi che nel 2011 lo incensavano per il terzo posto ottenuto a sorpresa in Coppa America. Nello sport, come nella vita, ci vuole equilibrio: dubito che uno possa passare in così poco tempo da fenomeno a bidone. Attribuire a lui le colpe del fallimento della nazionale è come nascondersi dietro ad un dito. Al di la del tecnico, ci vuole coraggio ed un colpo deciso di spugna, ovvero puntare realmente sui giovani, dandogli fiducia nel tempo e mettendo in preventivo un quadriennio dei possibili batoste. Ai mondiali tutti si sono stupiti del giovane Belgio, ma la nidiata di talenti non è nata per caso o spuntata come funghi, ma il frutto di una programmazione seria iniziata parecchi anni fa”. 

D.: Nei prossimi due anni si giocheranno ben due edizioni consecutive di Coppa America. Sei ottimista riguardo al cammino del Perù?
R.: “Su Cile 2015 ed U.S.A. 2016 non molto, ma per il bene e l’affetto che provo per il calcio peruviano spero di sbagliarmi. Brasile 2019 ed Ecuador 2023 potrebbero invece essere le edizioni per rivedere il Perù ai fasti del passato, previo un buon lavoro fatto alla base nel decennio che ci separa”. 

D.: Capitolo giovani talenti locali. Perché tanti esplodono in patria per poi fallire sistematicamente all’estero? Si parla anche di stili di vita particolari…
R.: “Intanto, come detto prima, il campionato peruviano non è la palestra che prepara i giovani talenti locali al salto di categoria, tanto che anche in campionati europei di seconda fascia faticano ad affermarsi. Aggiungere un aspetto secondo me molto importante e sottolineato da alcuni tecnici stranieri che hanno avuto la possibilità di allenare in Perù e confrontarsi con la realtà del posto: c’è poca disciplina sia in campo che fuori, dove i calciatori conducono una vita non propriamente da atleti, come testimoniano i numerosi scandali. Spesso e volentieri, infatti, si legge di giocatori che arrivano tardi in ritiro, fanno tardi in discoteca e si ubriacano. Sia chiaro, non voglio generalizzare, però in troppi fanno i professionisti… probabilmente non con molta professionalità”. 

D.: Quali giovani ci consigli di seguire durante questa stagione? Ne vedremo qualcuno in Europa prossimamente?
R.: “Innanzi tutto i giovani della ‘U’ che ho menzionato, Aparicio e Cedron dell’Alianza, Hinostroza, Polo (che prima o poi si presume sfonderà…) ed il 15enne Iberico del San Martìn, Cossio, Mimbela, Larrauri, Avila e Succar dello Sporting Cristal. ‘Dulcis in fundo’ Manco dell’U.T.C., che se mette la testa a posto è forse il più talentuoso di tutti. Peccato che, in confronto, Cassano e Balotelli sembrano due chierichetti cresciuti all’oratorio salesiano…”.

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