Prosegue il nostro viaggio tra i vari campionati mondiali. Oggi Pallonate si sposta in Sudamerica per parlare di Perù, paese che calcisticamente meriterebbe decisamente di più rispetto al momento storico che sta vivendo.
Per parlare di Descentralizado e movimento "franjeado", sulle nostre pagine è intervenuto Davide Bozzano, massimo esperto dell'argomento in Italia e "penna" pungente del portale Calcio Sudamericano. Con lui ci siamo fatti una lunga ed intensa chiacchierata, provando a sviscerare unargomento sconosciuto ai più, sopratutto in un paese come l'Italia che rifiuta a priori tutto ciò che non è Serie A.
D.: Iniziamo dal campionato, uno dei più cervellotici dell’intero
panorama sudamericano, appena toccato da una recente riforma. Com’è
strutturata la stagione peruviana?
R.: “La stagione
peruviana inizia a febbraio e termina a metà dicembre ed è un po’
difficile stabilire una linea base di come è strutturata la massima
divisione nazionale, questo perché la federazione tende a variare quasi
ogni stagione la formula in questione. Un dato è comunque certo: la
complessità dello svolgimento è sempre elevata, qualunque sia la
formula. Quest’anno si è deciso di rispolverare la vecchia Coppa Inca,
detto anche Torneo Verano, che in spagnolo significa estate, in
programma proprio nei mesi estivi sudamericani, appunto febbraio, marzo
ed aprile. Per far assumere la giusta importanza alla cosa, la vincente
di tale coppa ha diritto ad un posto nella prossima Libertadores, mentre
la finalista accederà alla Sudamericana. La formula prevede la
suddivisione delle 16 squadre di prima divisione in due giorni da 8, con
finale andata e ritorno fra le due vincenti. Dopo si parte con il
campionato vero e proprio: un’andata a girone unico che decreta il
campione dell’Apertura ed un girone di ritorno detto invece Clausura. E
qui rientriamo nei parametri tipici di parecchi tornei sudamericani. La
particolarità del calcio peruviano è la presenza di numerose…
chiamiamole così… ‘varianti’. Per esempio per decretare il campione si
ricorrerà alla finale fra i vincitori delle due fasi solo se nel girone
in cui non sono arrivati primi sono arrivati almeno nelle prime otto. In
questo caso farà fede la cosidetta ‘tabla acumulada’, ovvero la somma
dei punti. Inoltre le ultime classificate della Coppa Inca verranno
penalizzate di 3 punti e l’anno scorso accadeva lo stesso se non si
schierava un ‘tot’ di giovani nel corso del torneo. Non essendo
calcolata la cosa a numero di presenze bensì a minutaggio, lasciamo imm
aginare l’incertezza sulla classifica che regnava fino alla fine. Una
formula così mastodontica prevede che ogni squadra giochi nel corso
della stagione almeno 44 partite… senza contare le varie finaliste, in
questo caso il numero aumenta fino a 49, con eventuale spareggio
compreso”.
D.: In Perù si gioca spesso, quasi
sempre. Secondo te quali vantaggi offre – se ne offre – il fatto di non
interrompersi mai? I club ne traggono benefici?
R.: “
Personalmente non vedo vantaggi se non forse gli introiti tv ai vari
club. Più partite significa più incontri trasmessi, quindi più passaggi
pubblicitari, visibilità e soldi che incassano le società. Il fatto è
che i tifosi peruviani, come ormai anche quelli europei, italiani in
primis, non posso stare dietro al ritmo forsennato di un calendario che,
coppe internazionali escluse, spesso prevede partite ogni tre se non
addirittura due giorni. In Perù, inoltre, c’è anche un problema grosso
di viabilità: diventa difficile sotto ogni aspetto, soprattutto
economico, che un tifoso ad esempio limeno assista ad un match in casa
il lunedì e poi debba andare qualche giorno dopo a seguire la sua
squadra ai piedi dell’Amazzonia o sui 3.200 metri di Cusco. Il risultato
sono stadi, eccezion fatta per le grandi sfide o ‘clasicòs’ quasi tutti
però fra compagini della capitale, pietosamente vuoti o quasi, con
addirittura anche picchi minimali di 250 – 300 presenze”.
D.:
Come reputi il livello calcistico peruviano? Il fatto che nessun club
riesca a fare bene fuori dal paese è un fattore indicativo?
R.:
“Inutile negarlo, il livello è basso e lo dicono soprattutto i numeri:
da 32 anni la nazionale non si qualifica per una fase finale del
mondiale. Lasciamo da parte grandi potenze calcistiche quali Brasile ed
Argentina, mettiamoci anche la Colombia, ma prendiamo ad esempio
l’Ecuador, che spesso e volentieri invece si qualifica. Per non parlare
del geograficamente piccolo Uruguay: 176.000 kmq. contro i 1.285.000 del
Perù, 3.431.000 abitanti circa contro 30.400.000 eppure hanno vinto due
mondiali, parecchie coppe America e sono spesso protagonisti nelle
manifestazioni internazionali. E’ vero la diversa cultura calcistica,
mettiamoci pure probabilmente anche il discorso di una diversa
situazione economica, però con un po’ più di lungimiranza ed
organizzazione anche in Perù qualche risultato in più potrebbe arrivare.
Nell’ultima ed anomala Coppa America (tutte le big fuori quasi
subito…) la nazionale è andata benissimo, però poi non si è più riusciti
a dare un seguito agli interessanti risultati conseguiti. Peccato
perché il movimento alla base è apprezzabile, di gran lunga superiore
alle giovanili di altre nazionali sudamericane attualmente in difficoltà
quali Paraguay e Bolivia. Prendiamo il titolo ‘sub 20’ di Coppa
Libertadores vinto dall’Universitario qualche anno fa, il titolo
continentale ‘sub 15’ con sugli scudi il capocannoniere del torneo
Iberico, la stessa squadra ora protagonista alle olimpiadi giovanili in
Cina. Risultati apprezzabili che però non danno un seguito quando si
tratta di fare il cosiddetto salto di qualità, nonostante tanti giovani
giochino nel massimo campionato come ad esempio nell’Universitario, una
delle squadre con l’età media più bassa. La mia impressione è che
arrivati in prima squadra, con tutti quegli impegni, i talenti non
abbiano tempo a sufficienza per allenarsi con continuità sulla tecnica e
così una volta che emigrano all’estero, quasi sempre non ancora pronti,
finiscono costantemente in panchina. L’ultima generazione protagonista
in Europa è quella che sta tirando la carretta, ovvero costituita dai
vari Pizarro, Guerrero, Vargas, Farfan e Zambrano, ma dietro i vari
talenti locali, tanto per citarne alcuni Flores, Yotùn e prima Advìncula
e Pando, fuori dal Perù non hanno sfondato, nemmeno in campionati di
seconda divisione. Soltanto ultimamente sta emergendo Reyna nel
campionato austriaco, ma in un club di seconda fascia e dopo non aver
brillato nel Red Bull Salisburgo. Purtroppo il Descentralizado non
eccelle come livello, così come quello degli stranieri che lo calcano,
per non parlare della carenza di tecnici in grado di far compiere quel
salto di qualità citato. Le partite spesso sono divertenti in quanto
ricche di gol, ma attenzione… in molti casi in seguito a grossolani
svarioni difensivi e ad una fase tattica alquanto lacunosa. Non a caso,
molte reti nascono da calci d’angolo o lunghi traversoni dalle retrovie
che sorprendono la difesa di turno completamente fuori posizione. Un
vero peccato in quanto giocatori veloci e tecnici non mancano, il che
rende comunque le partite intense e gradevoli”.
D.:
Entriamo nello specifico. Il Descentralizado sta entrando nel vivo, e
diverse squadre si contendono il Torneo Apertura. Chi vedi favorito? E
chi pensi possa vincere il Clausura?
R.: “In entrambi i
casi è molto difficile sbilanciarsi in un campionato come quello
peruviano, suscettibile di stravolgimenti clamorosi anche in poche
settimane. Prendiamo l’esempio dell’Inti Gas, fino a tre settimane fa
leader del torneo ed incappato in tre sconfitte consecutive. Non a caso
spesso e volentieri la classifica è alquanto interlocutoria: attualmente
in vetta ci sono 4 squadre nell’arco di 3 punti o se preferite 6 in 4,
mentre a metà classifica si passa dalla zona coppe a quella
retrocessione in un… lampo, con 9 compagini in appena 5 punti. Con
graduatorie del genere diventa davvero sottile la linea che traccia e
determina i diversi obiettivi delle 16 contendenti. Per quanto riguarda
l’Apertura, dovendo per forza sbilanciarmi, mettono lo Juan Aurich un
passo avanti all’Universitario, in quanto a favore del ‘ciclòn del
norte’ potrebbero pesare la maggior fame di vittoria nei confronti degli
attuali campioni in carica e, soprattutto, il fatto di avere lo scontro
diretto da disputare in casa all’ultima giornata. Ago della bilancia
sarà il San Martìn, in grande spolvero nelle ultime settimane dopo un
periodo d’appannamento: per i ragazzi di Mosquera sarà la vera e propria
prova di maturità definitiva. Per quanto concerne il Clausura, oltre
alle tre squadre già citate aggiungerei il Melgar, che avrà una rabbia
particolare visto come ha buttato alle stelle questo finale di prima
fase, ed il César Vallejo. Con la possibilità di poter ancora operare
sul mercato però, non dimentichiamolo, con 2-3 ritocchi potrebbero
tornare lottare per la vetta anche le tre grandi deluse di questa
Apertura, ovvero Sporting, Alianza e Garcilaso, mentre l’Inti Gas lo
vedo ancora un po’ troppo discontinuo per ambire alla zona
Libertadores”.
D.: La squadra più attrezzata, almeno
sulla carta, sembra essere l’Universitario, che in rosa vanta diversi
giovani interessanti. Su chi scommetteresti?
R.: “Se
guardiamo in prospettiva della possibilità di affermarsi all’estero, un
giocatore che mi piace molto è Ruidìaz, che tra l’altro è ancora
giovane. L’ho trovato cresciuto e migliorato rispetto agli ultimi anni
sotto vari aspetti: quest’anno ha letteralmente trascinato la squadra al
primo posto, facendo spesso e volentieri, come si dice, reparto da
solo. Dopo le disavventure finanziarie avute nelle ultime stagioni, i
dirigenti crema hanno saputo fare di necessità virtù ed hanno puntato
sul settore giovanile migliore del paese, tanto che ora sono parecchi i
giovani che giocano in pianta stabile in prima squadra. Citare
Christofer Gonzales è facile e forse scontato, per cui io consiglio di
seguire Duarte ed Otarola, difensori rispettivamente del ’90 e’ 92,
Martinez attaccante paraguaiano del ’93 e Flores su compagno di reparto
del ’94, reduce da un’esperienza poco felice agli spagnoli del
Villareal”.
D.: Dopo aver vinto la Copa Inca,
l’Alianza non si sta ripetendo sui livelli espressi nei primi mesi del
2014. A cosa si deve questa flessione?
R.: “Sicuramente
agli organici non ancora completati dalle dirette avversarie in Coppa
Inca, cosa avvenuta a ridosso dell’Apertura. Tale affermazione ha illuso
il popolo alianzista ed ora deve fare i conti con una classifica che,
problemi tecnici e tattici a parte, non rispecchia comunque il valore
della rosa. Il fatto di giocare spesso e volentieri ad una sola punta
non facilita il compito di una squadra chiamata, per fascino e blasone, a
vincere sempre e quando invece si opta per uno schieramento più
offensivo…finisce che Guevgeoziàn e Montes, quando non si pestano i
piedi, vengano poco supportarti da un centrocampo sterile nella
costruzione. Mancano un regista ed un trequartista / seconda punta di
peso, uno per intenderci alla Guastavino o Rengifo, in grado di saltare
l’uomo, creare la superiorità ed ispirare l’ultimo passaggio. Gli
uruguagi Mìguez e Costa hanno altre caratteristiche, mentre Aguirre è
troppo fumoso. Sia chiaro, il livello di gioco spesso e volentieri è
gradevole, ma quando vengono bloccati il ‘delantero’ armeno o Montes,
nessuno è in grado di inquadrare la porta ed ai biancoblu mancano almeno
5-6 punti in classifica dovuti a pareggi stretti, ottenuti dopo aver
sciupato clamorose palle – gol, come quelle di Mìguez ed Aguirre contro
l’Uniòn una settimana fa. Alla fine, con quei punti, l’Alianza non
sarebbe poi così lontana dalla vetta e tante critiche non sarebbero
arrivate. E’ chiaro però che con 13 gol realizzati finora, ovvero solo
uno in più della penultima in classifica, il San Simòn, e tre più del
fanalino di coda, Los Caimanes, è difficile pretendere di competere per
qualche traguardo importante. Ho l’impressione che, ottenuto un posto
nei preliminari di Libertadores grazie alla vittoria in Coppa Inca,
quando la classifica è stata compromessa da alcuni risultati negativi, i
ragazzi di Sanguinetti abbiano cominciato a pensare alla Coppa
Sudamericana iniziata in questi giorni”.
D.: Una
delle realtà emergenti è senza dubbio il Real Garcilaso, nato solo nel
2009 e già protagonista anche in Libertadores dove ha tenuto in alto la
bandiera peruviana. Quali ambizioni prevedi per il loro prossimo futuro?
R.: “Penso che solo in Perù possa nascere una società
dal nulla…e dopo tre anni partecipare già alla Coppa Libertadores!
Battute a parte… nutro molta simpatia nei confronti del Garcilaso,
società dalla dirigenza seria e forte, puntuale nei pagamenti e che,
dopo due stagioni in grande in prima divisione (due finali), non si è
fatta prendere dall’isteria della mancanza di risultati rinnovando la
fiducia al bravo tecnico Garcìa. Come si dice nei matrimoni in ricchezza
o in povertà… qui sia vincendo che perdendo ‘el profesor’ non è mai
stato in discussione. Dopo due stagioni da protagonista assoluta, la
compagine del presidente Vàsquez sembra avere un po’ abbassato
l’asticella degli obiettivi, dimostrando in questo grossa maturità nel
non voler fare il passo più lungo della gamba. Complice anche un
ambiente ottimale, quello andino, dove il pragmatismo e la concretezza
locale lascia lavorare in tutta tranquillità la direzione celeste senza
specchiarsi in illusori voli pindarici. E comunque… vincere ai 3.200
metri di Cusco rimane difficile ora come nelle stagioni scorse”.
D.:
Uno degli argomenti centrali a queste latitudini è senza dubbio
l’altura. Molti club da anni vorrebbero rivedere la norma che permette
di giocare sopra certi parametri di altitudine. Tu che opinione hai di
questo fattore, spesso decisivo?
R.: “Faccio l’avvocato
del diavolo… ed appoggio gli andini. Secondo me il calcio è lo sport più
bello del mondo, oltre che sicuramente più diffuso: oggi è (purtroppo)
troppo business e commercio, ma per me rimane gioia, aggregazione e
voglia di confrontarsi con gli altri. Se vai sulle Ande, in Sudafrica,
in Australia o in Cina… quando fai conoscenza la prima cosa di cui parli
è il calcio. Perché allora privare un peruviano o boliviano delle Ande
la possibilità di poter andare allo stadio a vedere partite di livello?
La butto sul provocatorio… allora perché nessuno si è mai lamentato
quando una squadra mediterranea tipo spagnola, turca, israeliana ha
dovuto recarsi in Siberia o Scandinavia a giocare un turno di coppa in
dicembre con temperature impossibili? E che dire del gran caldo di certe
edizioni dei mondiali tipo U.S.A. ’94, giusto per non parlare
dell’ultima? Sia chiaro, giocare a 3.600 metri è un notevole handicap
per chi non è abituato però non facciamolo diventare un alibi: nella
disfatta dell’Argentina a La Paz, per esempio, l’altura ha influito
notevolmente, ma non è che tutti sono andati a perdere in terra
boliviana, così come non mi sembra che alla resa dei conti la Bolivia
abbia falsato le ultime qualificazioni, in cui in casa ha vinto appena
due volte. Una, se la memoria non mi inganna, contro il fanalino di coda
Paraguay. Nelle coppe internazionali quante Libertadores o Sudamericane
hanno vinto peruviane e boliviane delle Ande grazie ai vantaggi
dell’altura? Solo una con il Cienciano nel 2003. A tal proposito ricordo
che, in finale, ‘los cusquenos’ impattarono in casa del River Plate 3-3
e poi dovettero giocare il ritorno in casa, su pressione della
federazione argentina, ad Arequipa (quindi non a 3.600 metri, ma a 2.300
ed in casa dei più acerrimi rivali degli andini), ottenendo lo stesso
il successo finale. Quindi io dico di lasciarli giocare tranquillamente,
far godere anche agli spettatori delle Ande lo spettacolo del calcio e,
piuttosto, rimbocchiamoci le maniche noi… a livello del mare quando
andiamo la. Loro sfruttano… la natura e non mi sembra un male: a barare
sono altri e mi riferisco al doping ed all’ingresso di tutti questi magnati
arabi e russi che cercano in tutti i modi di aggirare il fair play
finanziario”.
D.: Passiamo alla nazionale. Dopo
il fallimento in vista di Brasile 2014 è stato allontanato Sergio
Markarian. Al suo posto c’è un altro uruguayano, Pablo Bengoechea.
Soluzione o semplice “piano B” dopo la rinuncia autorevole di Gareca?
R.:
“Secondo me piano B visto che, come hai detto tu, nei progetti della
federazione c’erano Gareca e pure un certo Bielsa, quest’ultimo però
obiettivo sicuramente fuori portata vista la caratura del personaggio.
L’impressione è che manchi un vero e proprio piano di sviluppo e di
rilancio del calcio peruviano e mi sembra che i dirigenti navighino,
come si dice, a vista. L’allontanamento di Markarian, o meglio la sua
fustigazione pubblica visto il trattamento riservatogli dai mass media
locali, è frutto dell’onda emotiva per la delusione dalla mancata
qualificazione al mondiale disputato a due passi, nonché della
frustrazione in seguito ai 32 anni di digiuno. Il tecnico uruguagio avrà
sicuramente commesso degli errori, ma soprattutto ha pagato l’assenza
di alcuni elementi cardine in match fondamentali all’andata (Vargas e
Farfan per citarne un paio) ed un rendimento al di sotto delle
aspettative da chi in passato aveva fatto la differenza. I detrattori
di oggi di Markarian, probabilmente, sono gli stessi che nel 2011 lo
incensavano per il terzo posto ottenuto a sorpresa in Coppa America.
Nello sport, come nella vita, ci vuole equilibrio: dubito che uno possa
passare in così poco tempo da fenomeno a bidone. Attribuire a lui le
colpe del fallimento della nazionale è come nascondersi dietro ad un
dito. Al di la del tecnico, ci vuole coraggio ed un colpo deciso di
spugna, ovvero puntare realmente sui giovani, dandogli fiducia nel tempo
e mettendo in preventivo un quadriennio dei possibili batoste. Ai
mondiali tutti si sono stupiti del giovane Belgio, ma la nidiata di
talenti non è nata per caso o spuntata come funghi, ma il frutto di una
programmazione seria iniziata parecchi anni fa”.
D.:
Nei prossimi due anni si giocheranno ben due edizioni consecutive di
Coppa America. Sei ottimista riguardo al cammino del Perù?
R.:
“Su Cile 2015 ed U.S.A. 2016 non molto, ma per il bene e l’affetto che
provo per il calcio peruviano spero di sbagliarmi. Brasile 2019 ed
Ecuador 2023 potrebbero invece essere le edizioni per rivedere il Perù
ai fasti del passato, previo un buon lavoro fatto alla base nel decennio
che ci separa”.
D.: Capitolo giovani talenti
locali. Perché tanti esplodono in patria per poi fallire
sistematicamente all’estero? Si parla anche di stili di vita
particolari…
R.: “Intanto, come detto prima, il
campionato peruviano non è la palestra che prepara i giovani talenti
locali al salto di categoria, tanto che anche in campionati europei di
seconda fascia faticano ad affermarsi. Aggiungere un aspetto secondo me
molto importante e sottolineato da alcuni tecnici stranieri che hanno
avuto la possibilità di allenare in Perù e confrontarsi con la realtà
del posto: c’è poca disciplina sia in campo che fuori, dove i calciatori
conducono una vita non propriamente da atleti, come testimoniano i
numerosi scandali. Spesso e volentieri, infatti, si legge di giocatori
che arrivano tardi in ritiro, fanno tardi in discoteca e si ubriacano.
Sia chiaro, non voglio generalizzare, però in troppi fanno i
professionisti… probabilmente non con molta professionalità”.
D.: Quali giovani ci consigli di seguire durante questa stagione? Ne vedremo qualcuno in Europa prossimamente?
R.:
“Innanzi tutto i giovani della ‘U’ che ho menzionato, Aparicio e Cedron
dell’Alianza, Hinostroza, Polo (che prima o poi si presume sfonderà…)
ed il 15enne Iberico del San Martìn, Cossio, Mimbela, Larrauri, Avila e
Succar dello Sporting Cristal. ‘Dulcis in fundo’ Manco dell’U.T.C., che
se mette la testa a posto è forse il più talentuoso di tutti. Peccato
che, in confronto, Cassano e Balotelli sembrano due chierichetti
cresciuti all’oratorio salesiano…”.
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