lunedì 13 aprile 2015

Monopolio Basilea


Il segreto è la continuità. Quando si parla di progetto per una società di calcio spesso si tende a sottovalutare suddetto fattore, molto facile da confondere. Continuità significa cambiare
sistematicamente senza che nulla, al momento di tirare le somme, sia cambiato. A Basilea nell'ultimo anno si è modificato parecchio, ma quello che sta per arrivare dalle parti del Sankt Jakob Park sarà il sesto titolo per i rossoblu, veri e propri monopolizzatori della Super League svizzera, campionato piccolo ma interessante grazie alla grossa mole di talenti messi in mostra.

Quando in estate Murat Yakin chiese di essere liberato però le previsioni non sembravano delle più ottimistiche; d'altronde il tecnico degli ultimi successi era l'immagine che il Basilea si era cucito addosso. Con Yakin i RotBlau sono diventati la squadra più forte in campo nazionale togliendosi numerosi sfizi anche in Europa, dove nel 2012 il Basilea è arrivato a giocarsi un ottavo di Champions League (perso tragicamente contro il Bayern Monaco) prima della cavalcata dell'anno successivo in Europa League, culminata con la semifinale persa nella doppia sfida contro il Chelsea. In entrambe le circostanze, appunto, Yakin rappresentava il comandante di una nave a tratti inaffondabile, capace di giocare un grande calcio fatto di ripartenze e sovrapposizioni, simbolo di un discorso iniziato anni prima con l'insediamento tedesco di Thorsten Fink prima ed Heiko Vogel poi, proprio alla guida del Basilea.

Il 5-1 rifilato allo Zurigo nell'ultimo turno di campionato è un po' un cerchio che si chiude. Sì, perchè dopo la gara di andata vinta 2-1 nel recupero, a domicilio, il Basilea aveva iniziato la sua vera prima fuga in cima alla classifica del campionato visto che - fino ad allora - proprio lo Zurigo era riuscito a tenerle testa controbattendo ad ogni vittoria rivale con altrettanti punti. Negli ultimi due mesi però lo Zurigo ha iniziato a perdere colpi, e con essi anche il secondo posto, oggi appannaggio dello Young Boys. Dopo il match di ottobre sui maggiori quotidiani sportivi svizzeri si leggevano però commenti non troppo entusiastici sul Basilea, accusata di essere fortunata e favorita solo dalla pochezza delle avversarie. Questo perchè, abituati a Yakin, i media elvetici hanno fatto fatica a capire le abitudini ed i metodi di Paulo Sousa; l'allenatore portoghese è un tipo completamente agli antipodi del suo predecessore. Schivo, poco incline alla polemica, sopporta a malapena le conferenze stampa e difende i suoi a spada tratta, sempre, come il suo mentore Mourinho insegna. Pur non avendoci mai lavorato insieme, è proprio l'ex interista il modello di crescita scelto dal lusitano, che di gavetta ne ha fatta tanta nelle scorse stagioni, anche in paesi non propriamente ad alto livello calcistico.

Eppure la sua ascesa sembrava segnata, già più di dieci anni fa; entrato a far parte della federazione del suo paese poco dopo l'addio al calcio, nel 2005 assume l'incarico di ct dell'under 16 portoghese, ruolo che ricoprirà fino al 2008, quando i Queens Park Rangers lo chiamano da Londra per affidargli una delle più prestigiose panchine della Championship. Ma a Loftus Road le cose non vanno, e ad aprile è già esonerato; così decide di raggiungere Queiroz allo Sporting di Lisbona dove prova ad affinare le sue conoscenze tattiche lavorando con uno dei tecnici migliori del paese. Dopo qualche mese arriva l'occasione Swansea, dove Sousa andrà a sostituire il partente Roberto Martinez mancando per un soffio i playoff promozione. Nonostante la delusione a livello personale, la stagione lo promuove e il Leicester decide di puntare sulle sue capacità d'emergente per riportare in alto le Foxes, cosa che non solo non avviene, ma il suo allontanamento dopo pochi mesi conferma la volubilità dell'allora numero uno Mandaric.


"Dovevo decidere cosa fare e se non fosse meglio ripartire in un posto senza pressioni", racconta oggi l'ex centrocampista della Juventus, "così accettai l'Ungheria". Il calcio magiaro vive ormai da decenni in un limbo dal quale non sembra poter uscire tanto facilmente; il Videoton gli affida la squadra post titolo, e lui - dopo aver perso il turno di qualificazione in Champions contro lo Sturm Graz - conduce il gruppo alla qualificazione in Europa League per l'anno dopo. La serata del suo 42° anno coincide con la vittoria ai rigori sul Trabzonspor, ma pochi mesi dopo (per ragioni familiari, si dirà) arriva la rescissione consensuale con il club. Dietro pare esserci un'offertona irrifiutabile da Israele, paese in cui arriva il suo primo titolo nazionale con il Maccabi Haifa. "Quando in estate mi chiamarono dal Basilea avevo già deciso di lasciare Haifa" - confessa il tecnico - "la situazione ambientale era complicata e non c'erano le condizioni per fare calcio ad un certo livello". 

Oggi Sousa è l'idolo della città; il suo Basilea gioca un calcio propositivo e offensivo, trascinato da alcuni suoi esperimenti tattici riusciti e dal talento fresco dei suoi giovani. Uno su tutti Breel Embolo, camerunense naturalizzato svizzero che nasce centrocampista diventando un ottimo centravanti di movimento, nonostante il fisico da corazziere che gli permette di risultare a tratti immarcabile. Se Embolo è il braccio, Shkelzen Gashi è la mente; nato seconda punta, con Paulo Sousa gioca spesso trequartista mettendo i suoi assist a disposizione della squadra. Non ha però perso il vizio del gol: ben 21, dopo i 24 nel biennio passato al Grassoppher prima di approdare in rossoblu.


Continuità, si diceva; solo negli ultimi anni da Basilea se ne sono andati pezzi da novanta come il portiere Sommer, Stocker, Dié, Marcelo Diaz e Bobadilla, ma le due plusvalenze più importanti rispondono al nome di Mohammed Salah ed Aleksandar Dragovic, entrambi sostituiti degnamente (tenete d'occhio Fabian Schar, prossimo pezzo pregiato del mercato estivo) da chi è arrivato dopo. Il punto è proprio questo, ovvero l'importanza di avere una società ben strutturata con una rete di osservatori presente su tutto il territorio mondiale. La piazza, seppur calda, è tendenzialmente paziente con i suoi giocati, ed è probabilmente per questo che ormai da anni in Svizzera comanda una squadra sola.

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