mercoledì 20 maggio 2015

A-League, il titolo torna a Melbourne


Tutto è iniziato il 10 ottobre con una vittoria. E, come un cerchio che si chiude perfettamente, tutto finisce con una vittoria. Quella di un titolo meritato per i Melbourne Victory, campioni per la terza volta in quella che è stata la decima edizione della ormai ex neonata A-League.

La massima divisione australiana è ormai diventata un brand; stadi con 30 mila presenze di media, sponsor e grossi club europei che investono nel paese e - soprattutto - nel calcio, oltre ad essere migliorata anno dopo anno. Tanto che, a tratti, ci si dimentica di essere in un angolo di mondo dove lo sport nazionale è, e rimane, il rugby. La vittoria di Melbourne contribuisce ad allungare un trend indistruttibile: la più forte, vince. E' successo negli anni passati con Brisbane e Central Coast, e così è stato anche in quest'edizione nella quale la squadra allenata dall'ex nazionale Kevin Muscat ha messo in fila tutte le avversarie. Ultimi i Sydney FC, rinati nel post Del Piero, e autori di un campionato oltre i più rosei pronostici (grazie, soprattutto, ai gol di Mark Janko).


Il successo di Melbourne era comunque annunciato. Squadra rifondata nella scorsa sessione di mercato dal chairman (di origini italiane) Anthony Di Pietro, i Victory hanno puntato forte sull'attacco rinforzandolo con gli arrivi dello svizzero Ben-Khalfallah e soprattutto Besart Berisha, centravanti albanese che De Biasi vorrebbe convocare in nazionale. Invano, perchè Berisha si sente australiano, e avendo in programma di terminare la carriera nella terra dei canguri, le trasferte europee sarebbero troppo usuranti. Comprato dai Brisbane Roar nel 2011 (dopo varie esperienze europee), Berisha ha giocato nel Queensland per tre stagioni segnando 48 gol in poco più di 70 presenze. Con lo svincolo è arrivato poi l'accordo con i Victory, condotti a suon di gol al titolo (il terzo per lui, dopo i due con Brisbane). Con il brasiliano Finkler e l'esterno Kostas Barbarouses, Berisha e Ben-Khalfallah hanno composto un reparto offensivo a tratti devastante, in un 4-2-3-1 sorretto perfettamente dalla mediana in cui Leight Broxham e Carl Valeri (sì, l'ex Ternana) hanno catalizzato il gioco durante il campionato. Dietro, menzione d'onore per il capitano Mark Milligan, campione d'Asia a gennaio con la maglia dei Socceroos.



Nonostante l'annata, dal punto di vista economico, sia andata nettamente meglio delle precedenti (la federazione ha quasi triplicato gli introiti derivanti da sponsor e diritti tv), la filosofia non cambia nemmeno per l'immediato futuro; i giocatori continueranno a spostarsi a parametro zero (tra franchigie australiane) e gli unici soldi incassabili sono quelli delle cessioni all'estero. Importare capitali e non spenderne: così sì piano piano evoluta l'A-League, oggi uno tra gli esempi di management più sani e costruttivi d'Asia. Il campo, di conseguenza, partorisce sempre stagioni equilibrate; quest'anno l'ultimo posto ai playoff se lo sono contese Melbourne City (società satellite del Manchester City) e Brisbane, salvo poi essere entrambe ammesse alla seconda fase perchè Perth è stata beccata con alcuni pagamenti non in regola. Un peccato, perchè i Glory erano stati per lunghi tratti la capolista - soprattutto nei primi mesi - mettendo in evidenza un ottimo impianto di gioco che trovava sbocco nelle folate offensive del giovane De Silva (tornerà alla Roma in estate) e nei gol dell'inglese Andy Keogh. Peggio è andata ai campioni d'Asia di Western Sydney; i Wanderers, concentrandosi nella Champions, hanno lasciato punti pesanti per strada in campionato. Risultato? Ultimo posto ed epurazione in vista di buona parte del blocco che, a Parramatta, ha portato la prima coppa internazionale in terra d'Australia.

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