martedì 23 giugno 2015

#Chile2015 La Coppa America al giro di boa


Due settimane per scaldare in maniera adeguata i motori, ed ora si può davvero partire. La Coppa America cilena entra nel vivo dopo la conclusione della fase a gironi. Quattro squadre delle dodici non ci sono più, ma in gara c'è ancora il grosso della rappresentanza sudamericana.

Come di consueto, soprattutto a queste latitudini, le sorprese non sono mancate; sia in positivo che in negativo, sia chiaro, perchè se è vero che qualcosina di più ci si poteva aspettare da Venezuela ed Ecuador, è altrettanto deludente il modo in cui il Messico sperimentale del Piojo Herrera ha abbandonato la manifestazione. Con la Tri, anche la Giamaica - altra invitata alla kermèsse - non ha saputo evitare l'eliminazione. Quella dei Reggae Boyz era comunque l'unica preventivabile, visto che l'Ecuador partiva per scrollarsi di dosso i fantasmi in un torneo che non li vede qualificati ai quarti di finale da decenni (giustiziati, quest'anno, dall'incredibile - a tratti grottesca - sconfitta contro la Bolivia), mentre la Vinotinto ha esordito bene battendo la Colombia ma poi non ha saputo confermare il trend, inanellando due sconfitte consecutive in altrettante uscite.

Una di queste è arrivata contro il Perù, in un match viziato dall'espulsione (esagerata) di Amorebieta quando il risultato era ancora fermo sullo 0-0; da lì in poi la Copa del Venezuela è svoltata, in peggio, conclusasi sotto i colpi di Pizarro, Thiago Silva e Firmino. Proprio il Perù è la principale sorpresa di Cile 2015; non ce ne voglia Evo Morales, vulcanico presidente della Bolivia, perchè se è vero che la sua Verde è stata audace meritandosi sul campo il passaggio ai quarti, il Perù è arrivato terzo in un girone dove era palesemente la squadra sulla carta meno attrezzata per andare avanti.


QUESTIONE DI OUTSIDER
Il destino ha poi fatto il resto. Sarà infatti Perù - Bolivia uno dei quarti di finale in programma questa settimana; ubicato nella parte alta del tabellone, questo incontro non solo promuoverà in semifinale la probabile avversaria del Cile, ma appiccicherà l'etichetta di sorpresa del torneo sul proprio nome. Se dovesse vincere il Perù poi, per la Franja sarebbe la seconda semifinale consecutiva raggiunta: un primato nella storia biancorossa. Già, perchè questo Perù difficilmente ricalcherà le orme della mitica squadra anni '70-'80, ma con un sergente di ferro come Ricardo Gareca può tornare - se non altro - a sognare un piazzamento mondiale. Magari non nel 2018, ma se i giovani confermano la loro progressiva crescita il 2022 non è poi un semplice miraggio. Il Perù di oggi è molto diverso da quello disegnato negli ultimi anni dalla coppia Markarian - Bengoechea. Non sugli uomini, ma sulla mentalità. Quando il Tigre ha rifiutato un compito molto meno difficile sulla panchina del Costarica, molti si saranno chiesti chi glielo faceva fare di andare a Lima per firmare con una federazione poco lungimirante come quella peruana. Invece per ora ha ragione lui. Squadra quadrata, leader che ci mettono il cuore, tanta generosità che a tratti lascia sopperire evidenti limiti tecnici. La fotografia di questo status è Luis Advincula, probabilmente il miglior laterale destro della prima fase; ha fallito dappertutto, soprattutto in Europa, ma per Gareca è uno dal quale riparte il Perù del futuro, che punterà al massimo sul collettivo. L'ostacolo Bolivia non va però preso sotto gamba, perchè se è vero che la Verde ha conquistato il massimo con il minimo sforzo (un punto con il Messico senza tirare in porta, tre gol in un tempo con l'Ecuador suicida prima della goleada subita dal Cile), è anche vero che l'organizzazione difensiva data da Mauricio Soria (il 4-6-0 contro l'Ecuador rimarrà nella storia) nelle prime due uscite potrebbe dare grattacapi ad una squadra che segna poco come il Perù. Tra i singoli va sicuramente segnalato lo svedese del Goteborg Martin Smedberg, 31enne naturalizzato boliviano, con un bel destro dalla distanza. E' lui uno dei punti di forza di una Bolivia che torna ai quarti dopo diciott'anni: era il 1997, giocava in casa, arrivò in finale.



LA FAVORITA
Alzi la mano chi non pensa che il Cile sia la favorita numero uno per vincere questa Coppa America. I motivi sono tanti; in primis il cammino verso la finale sembra stato disegnato apposta per la Roja (compresi incroci di classifica che hanno portato a questo tabellone). In secondo luogo perchè per Jorge Sampaoli e la sua truppa la questione è molto più complicata di quella che potrebbe sembrare. Bisogna fare la storia. Già, perchè il Cile - in 99 anni di tornei - non ha mai alzato al cielo questo trofeo. Impensabile per una nazionale di tale blasone, eppure è così. Urge invertire la rotta, e farlo in casa avrebbe decisamente un altro sapore. Nonostante abbia vinto il suo girone in scioltezza (sette punti con dieci gol fatti e solo tre subiti) il Cile è però mancato in alcuni momenti, soprattutto nella partita contro il Messico. Vero è che finchè arrivano i risultati va tutto bene, ma tatticamente la compagine di Sampaoli ha commesso alcuni errori che potevano costare molto cari; il problema - se così si può definire - è sempre lo stesso, ovvero che da buon integralista il tecnico argentino non si schioda dalle sue convinzioni. Difesa a tre che va in difficoltà contro centravanti fisicamente prestanti, nessun ragionatore in mezzo (la stampa cilena chiede a gran voce Pizarro), molti interpreti dalle spiccate doti offensive che non sanno ripiegare per aiutare. Il ragionamento è: contro avversari più forti, funzionerà ancora il metodo Sampaoli? Fortunatamente Arturo Vidal e Jorge Valdivia paiono essere in forma smagliante; il primo, nonostante il brutto incidente post Cile-Messico, sta mantenendo livelli altissimi trovando spesso la via del gol. Il secondo disegna calcio e fa segnare tutti, ma proprio tutti (per informazioni chiedere a Medel). Basteranno loro due, oltre al tifo incandescente di Santiago, per portare la Roja in finale?


"NON SIAMO LA VITTIMA"
Dal ritiro cileno dell'Uruguay Oscar Washington Tabarez e Diego Godin raccolgono la sfida e, ovviamente, non ci stanno a passare da vittime sacrificali. "Scenderemo in campo e faremo la nostra partita - dice Tabarez - loro giocano in casa, vero, ma io vorrei ricordare a tutti che in passato abbiamo compiuto imprese ben più grandi di questa". E' un fiume in piena che esonda, il Maestro, al quale fa eco il capitano della Celeste: "Sicuramente loro sono i favoriti alla vittoria finale, ma avranno anche tanta pressione addosso". Vero, com'è vero che l'Uruguay tradizionalmente non è mai stata una nazionale che si fa prendere da facili isterismi, nè sente particolarmente la tensione quando il gioco si fa duro. D'altronde si sa, a livello calcistico l'Uruguay è un piccolo miracolo mondiale, basti pensare che l'intero il paese ha meno abitanti di quasi tutte le capitali sudamericane. Eppure sono sempre lì. Quest'anno però sembra mancare la fase offensiva, situazione comune a molti in questa Coppa America; con l'assenza di Suarez è arrivata l'investitura di Cavani, ma il Matador fino ad oggi è mancato. Così come è mancato Diego Rolan, al quale si chiedeva di fare le veci proprio di Suarez. Tabarez ha poi escluso a priori un giocatore come De Arrascaeta, decisamente in forma negli ultimi mesi; così l'Uruguay è passato con il minimo sforzo, reggendosi sulla solita rocciosa mediana composta dal trio Arevalo Rios, Sanchez e soprattutto Gonzalez, mentre dietro ha retto abbastanza la coppia di centrali Godin - Gimenez, con quest'ultimo bravo anche in zona realizzativa (suo il gol che ha aperto la partita contro il Paraguay). Possibili accorgimenti per la partita contro il Cile? Magari provare finalmente De Arrascaeta, o puntare forte su un giocatore come Lodeiro, che pur accendendosi a sprazzi ha le capacità per fare arrivare tanti palloni là davanti.

ASPETTANDO MESSI
Un pareggio all'esordio, poi due vittorie non eccessivamente convincenti. E' questo il ruolino di marcia dell'Argentina, che in Cile insegue un titolo già assegnatogli da tutti alla vigilia. Che l'Albiceleste rimanga una delle favorite nonostante il gioco non brillante è un dato di fatto, ma le premesse - visto il primo tempo contro il Paraguay - sembravano poter essere diverse. L'Argentina di quella sera ha letteralmente dominato gli avversari per quarantacinque minuti, segnando due gol e mettendo in mostra un Leo Messi finalmente in grande spolvero con la "camiséta" addosso. Ma al fischio finale gli animi erano completamente diversi; il 2-2 subito in rimonta ha lasciato strascichi, mentali ma non solo, visto l'episodio ripreso dalle telecamere tra i due tempi dove si sentono Messi e Di Maria prendere in giro il Tata Martino. Che, a posteriori, è stato profeta. Fortunatamente il gol di Aguero contro l'Uruguay ha ipotecato la qualificazione, suggellata in scioltezza nella gara finale, dove Higuain ha giustiziato la Giamaica. C'è però un punto interrogativo gigantesco che pende sopra la testa di questa squadra. Che farà Messi? Leo ancora una volta è apparso impacciato; il talento blaugrana si accende a tratti, e quando lo fa crea scompiglio, ma questo non basta per un fenomeno che ha appena toccato quota cento presenze senza mai alzare nemmeno un trofeo. Il quarto di finale riserva l'ostacolo colombiano, con vista Brasile in semifinale. La Colombia non se la sta passando molto bene; i Cafeteros hanno passato il turno segnando un gol in tre partite e ringraziando Madre Natura che ha fatto Miku qualche centimetro più basso di quel pallone che ha sorvolato l'area di Ospina nel match decisivo contro il Venezuela. Trovare notizie positive nella squadra di Pekerman è come cercare un ago in un pagliaio; l'investitura a capitano di Falcao è una condanna, perchè ora il neoacquisto del Chelsea è inamovibile, quando è palese che la coppia Bacca - Gutierrez, oggi, possa offrire più garanzie. Poi c'è la grana James Rodriguez, infortunatosi e probabile assente per il resto della competizione, confinato dal "profesòr" sulla fascia che gli chiede di sacrificarsi troppo in copertura. La difesa, se non altro, ha retto abbastanza oltre ad essere decisiva nella figura di Murillo, autore del gol vittoria contro il Brasile. Ma per puntare a traguardi prestigiosi è oggettivamente troppo poco.


ANIMA GUERRIERA
"Avrei potuto venire in Cile con molti giovani e nascondermi dietro al fatto che dobbiamo ricominciare un progetto da zero. Ma io ho un grosso difetto: mi piace tanto vincere". La prima conferenza stampa di Ramon Diaz appena atterrato in Cile si è conclusa così, e già dalle parole si sarebbe dovuto capire che la Copa del Paraguay avrebbe potuto riservare molte sorprese. Così è stato; dall'ottimo secondo tempo contro l'Argentina, in cui Don Ramon con due mosse ha messo in scacco l'acerrimo nemico Martino ("Potevano vincere 4-0, alla fine abbiamo pareggiato e rischiato di vincerla", ha detto Diaz sornione al fischio finale), alla vittoria fortunosa contro la Giamaica fino alla rimonta contro l'Uruguay firmata dal redivivo Lucas Barrios. Diaz sta facendo un miracolo con un gruppo a fine ciclo, ma c'era da aspettarselo viste le condizioni dettate alla federazione dal momento in cui ha messo piedi ad Asuncion. "Lancerò giovani e curerò le giovanili, ma con i miei tempi", era il concetto espresso. Così il Paraguay di oggi sogna addirittura una semifinale insperata, magari mietendo un'altra vittima illustre come il Brasile. Le condizioni per fare l'impresa ci sono, visto che l'atteggiamento dei guaranì è in completa antitesi con la tradizione brasiliana. Si punterà a distruggere tutto il distruttibile per poi ripartire in velocità per infilare la blanda retroguardia verdeoro. Il jolly si chiama Derlis Gonzalez, l'unico vero talento del futuro presente in rosa, dosato dal "pelado" che per lui stravede: "Derlis? Grande talento, ma deve crescere. E comunque nessuno vince le partite da solo".

SENZA NEYMAR
Un famoso giornalista italiano ha definito il Brasile come la nazionale "da decifrare". Effettivamente questa Seleçao rappresenta tutto ciò che è più lontano dal Brasile tradizionale. Manca fantasia, manca allegria, manca il "futbol bailado" come marchio di fabbrica. La squadra di Dunga è europea in tutto e per tutto, ma forse proprio per questo l'ex centrocampista di Pisa e Fiorentina è stato richiamato al comando. Manca il talento, bisogna sopperire con l'organizzazione: questo è l'incipit. Sebbene Dunga abbia commesso alcuni errori, corretti match dopo match (il più grave è l'esclusione di Thiago Silva dall'undici tipo, salvo poi preferirlo a David Luiz), il tecnico sta cercando di tenere su la baracca. Che, oggi, ha pure perso le sue solide fondamenta con la maxi squalifica comminata dalla Conmebol a Neymar. Era infatti il capitano ad aver praticamente regalato i tre punti dell'esordio, condannando il Perù prima con un colpo di testa e - nel finale - disegnando una linea di passaggio impressionante per Douglas Costa. Ma la rissa finale di Brasile - Colombia lo ha tolto dai giochi, e Dunga si è dovuto ancora reinventare la formazione. Al posto di O'Ney c'è Robinho, che se non altro ispira ottimismo per motivi di cabala visto che nel 2007 fu lui a trascinare il Brasile alla vittoria in Copa. La sensazione generale però è quella di una squadra che sì, ci prova, ma non riesce a sopperire la mancanza di mezzi tecnici evidenti a tutti. Dunga ha fatto delle scelte, molto criticate, ma probabilmente chi è rimasto a casa (Felipe Anderson e Luiz Adriano sono i due nomi più gettonati dagli inquisitori) non avrebbe spostato gli equilibri più di tanto. Quello che manca è la consapevolezza che questo Brasile probabilmente è tra i peggiori della storia, con un talento straordinario e altri dieci giocatori che magari presi singolarmente sono ottimi elementi, ma in questo contesto si rivelano inadeguati. Contro il Paraguay serve orgoglio: questo, al popolo brasiliano, non è mai mancato.

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