giovedì 14 maggio 2015

L'isola felice


Una volta la Galizia era tra le regioni più importanti per il calcio spagnolo. Due delle potenze iberiche, Deportivo e Celta Vigo, provenivano da lì e in giro per l'Europa si facevano temere, anche a livello di Champions League. Mentre a La Coruna hanno preso atto che i tempi del "Super Depor" di Irureta non esistono più, a Vigo hanno provato a rinascere, ed il Celta - da tre stagioni - si sono riaffacciati al calcio che conta. E, con la salvezza ottenuta largamente in anticipo, Eduardo Berizzo può comodamente sedersi nel suo ufficio per programmare la prossima stagione.

Tra i più vecchi e gloriosi club spagnoli, il Celta Vigo sale alla ribalta a cavallo degli anni '90 e 2000 perchè, in precedenza, a parte qualche campionato di Segunda Division il club (fondato nel 1923) non si era mai portato a casa nulla di veramente importante. Ma nel 1997 in Spagna coniano il termine EuroCelta, ed il perchè è molto facile da intuire. Con un sesto posto nella Liga inizia il decennio d'oro dei biancoazzurri di Vigo, che per cinque anni di fila partecipano alla Coppa UEFA arrivando ai quarti di finale nelle prime tre occasioni (eliminati, nell'ordine, da Olimpique Marsiglia, Lens e Barcellona), peggiorando tra i 2001 ed il 2003. Ma queste due eliminazioni europee sono il preludio alla grande avventura in Champions del 2003-04. Il Celta è infatti arrivato quarto in campionato, trascinato dalla fantasia del duo russo Mostovoi - Karpin e dai gol dei vari McCarthy e Catanha. Dopo aver fatto fuori lo Sparta Praga, i galiziani passano come secondi nel girone di ferro con Ajax (dai quali subiranno l'unica sconfitta su sei partite), Bruges e soprattutto Milan, battuto 2-1 in casa in un match tra i peggiori della storia rossonera. I sedicesimi non lasciarono scampo al Celta, buttato fuori dall'Arsenal, che travolgendo gli spagnoli segnò anche l'inizio del declino.

Già, perchè mentre in Europa la squadra gira, in campionato arriva una deludente retrocessione in Segunda, campionato vinto al primo colpo ma ritrovato due anni più tardi al termine di una Liga culminata con un 18° posto, il peggior attacco e la seconda peggior difesa. Fino al 2012, quando con Paco Herrera in panchina il Celta torna nella Liga e ci rimane anche l'anno successivo nonostante l'esonero in febbraio del tecnico catalano a favore del ben più esperto Abel Resino. Che, in un primo momento, sarebbe dovuto rimanere. E invece no, perchè da Roma è appena tornato Luis Enrique, reduce da un'esperienza disastrosa con i giallorossi, e siccome al Barcellona non c'è (ancora) spazio, ecco che il numero uno del club - Carlos Mourino - lo convince ad accettare l'offerta del club. "Con Luis Enrique ci incontrammo a casa mia - ricorda oggi il boss del Celta - subito non era convinto, ma io gli feci presente che in attesa della panchina che aspettava qualcosa avrebbe pur dovuto fare". Vero, e il nono posto finale testimonia l'ottimo lavoro svolto dall'attuale tecnico blaugrana, che la scorsa estate rescinde consensualmente il legame dalla società ("Avevamo un accordo - dice Mourino - se il Barcellona chiama non dobbiamo nemmeno discutere").

Così per la panchina si decide di puntare su un altro emergente, Eduardo Berizzo, reduce da un'ottima esperienza con il club cileno dell'O'Higgins. Ma Berizzo, oltre ad un tecnico ambizioso, è anche uno che il Celta lo conosce bene avendoci militato da calciatore. Con lui la rosa non viene stravolta: si fa cassa con l'esterno Jota e si liberano alcuni giocatori a fine contratto, mentre a Vigo arrivano il trequartista Hernandez (pupillo di Berizzo), il blaugrana Sergi Goméz in prestito e Joaquin Larrivey dal Rayo Vallecano, più alcuni giovani interessanti. E' proprio l'argentino ex Cagliari uno dei punti di forza di questa squadra; con 11 gol segnati compone un reparto d'attacco di tutto rispetto e si è ritagliato un ruolo importantissimo come compagno ideale di Nolito, vera stella dell'undici allenato da Berizzo e bomber attuale del Celta. Con loro ci sono anche il brasiliano Charles, ex Almeria, e soprattutto il 19enne Santi Mina, per il quale sembra potersi scatenare un'asta furibonda quest'estate. Gli obbiettivi del club sono semplici; dopo l'assestamento nella massima divisione spagnola c'è bisogno di un upgrade per tornare in Europa. Difficile per chi non può permettersi esborsi esorbitanti, ma in più circostanze (vedi Rayo Vallecano due stagioni or sono) è stato dimostrato di poter supplire alle mancanze tecniche con organizzazione e programmazione. Intanto è stata consacrata la supremazia sui rivali storici del Deportivo, anche quest'anno impegnati a recitare il ruolo di "squadra ascensore". Beh, da qualche parte bisognerà pur cominciare.

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