lunedì 15 febbraio 2016

La volta buona

La vittoria del Porto sul campo del Benfica nell'anticipo del 22° turno di Superliga portoghese ha aperto uno scenario roseo per la capolista. Lo Sporting di Jorge Jesus ha la consapevolezza di poter andare fino in fondo a questa stagione, per riportare nella metà alviverde di Lisbona un titolo che in bacheca manca da troppo tempo.
 
 
Domenica mattina la capitale portoghese si è risvegliata con i Leones nuovamente primi in solitaria, in testa ad una classifica nella quale si erano fatti raggiungere solo una settimana fa, dopo il brutto pareggio interno contro il Rio Ave. Lo 0-0 contro una compagine di fascia media aveva acceso qualche spia sull'indicatore della benzina di una squadra che, ormai da agosto, sta compiendo un cammino a tratti straordinario. Invece, come si è evinto dalle prime pagine domenicali dei maggiori quotidiani sportivi, lo Sporting c'è e non intende mollare; nella prova di forza offerta in quel di Madeira, Rui Patricio e compagni hanno travolto il Nacional senza particolari problemi, gettando acqua gelida sul fuoco rovente acceso in settimana dalla metà benfiquista della città. Il tecnico delle Aguias, Rui Vitoria, aveva infatti parlato nei giorni scorsi di trend positivo per i suoi: "Lo Sporting sta facendo una grande stagione, ma ora che siamo lassù non intendiamo più perdere terreno". Invece la squadra di Jorge Jesus ha dato una grande risposta sul campo, trascinata dai gol dell'algerino Slimani e - più in generale - da organizzazione tattica e mentale, marchio di fabbrica proprio del suo allenatore.
 
Che il 61enne tecnico di Amadora sia un personaggio fuori e dentro il campo non lo si scopre di certo oggi. Durante l'estate scorsa, Jorge Jesus decide di lasciare il Benfica dopo sei anni fatti di tante vittorie ed altrettante delusioni, per passare dall'altra parte della barricata. La firma con lo Sporting è vista come un tradimento da parte dei tifosi biancorossi, che nei giorni seguenti all'annuncio arrivano addirittura a minacciarlo di morte per telefono. Messo sotto scorta, Jesus precisò la sua posizione: "Non rinnego il lavoro fatto con il Benfica - ha spiegato - ma ho bisogno di nuove sfide, nuovi stimoli". In effetti, la società di Bruno de Carvalho ha tutto per rappresentare tale sfida: non vince in campionato da quindici anni, ha tanti giovani poco valorizzati e in Europa ormai fa da comprimaria. Con l'ausilio del nuovo allenatore il club conduce un buon mercato estivo, ma Jesus mette subito le cose in chiaro: il posto in squadra va meritato, il nome non conta nulla.
 
Da questo assunto parte la nuova stagione, a tratti esaltante, che inizia subito forte con quattro vittorie nelle prime cinque uscite per poi migliorare tra ottobre e gennaio, dove arriva l'unica sconfitta del campionato (1-0 sul campo dell'Uniao Madeira) contornata però da dieci vittorie. In mezzo a questi successi ci sono anche le lezioni date a Benfica e Porto, con cinque gol fatti e nessuno subito. Al "Da Luz" va in scena un vero e proprio show, con i biancoverdi che in poco più di mezz'ora segnano tre volte e nella ripresa pare addirittura non vogliano infierire sull'avversario. E' proprio questo match a rappresentare un punto di svolta per Jorge Jesus, insultato e bersagliato da oggetti per tutto l'arco dell'incontro: "Sono cose che capitano - ha filosofeggiato a fine incontro - se mi riservano questo trattamento significa che ho fatto bene e che gli dispiace avermi perso". Il segreto è tutto qui; Jesus segue semplicemente una strada già tracciata da José Mourinho, dove l'allenatore fa da parafulmine in modo che i suoi ragazzi possano giocare tranquilli e senza pressioni. A beneficiare di ciò è tutto il gruppo, di cui il tecnico si fida in toto, tanto da aver utilizzato la bellezza di 29 giocatori diversi in queste prime 22 uscite di campionato.
 
Il 3-4-3 di partenza offre anche interessanti spunti tattici, soprattutto dopo che le lacune difensive sono state colmate a gennaio dall'arrivo di Sebastian Coates. A livello di gioco la squadra sa adattarsi al meglio all'avversario di turno, e proprio i match con le cosiddette grandi hanno evidenziato come tutti i giocatori a disposizione dell'allenatore sposino caratteristiche di duttilità invidiabili. Uno dei casi più eclatanti è senza dubbio quello di Islam Slimani, gioiello di casa Sporting e da qualche giorno - dopo la doppietta di sabato - salito nella top ten del "Golden Boot", premio per il miglior marcatore europeo stagionale. L'algerino ha iniziato la stagione come attaccante esterno, ma ben presto è stato spostato centravanti per supplire all'assenza di Teofilo Gutierrez, altro giocatore plasmato da Jesus dopo che in Europa già aveva fallito. Un'inversione di tendenza si è registrata anche dal punto di vista societario, soprattutto quando a gennaio sono stati richiesti alcuni giocatori (Slimani in primis, piaceva molto in Premier League) ed il club ha risposto di no. Anzi, oltre alla gestione impeccabile della grana Carrillo, sono arrivati prontamente i rinnovi di contratto per William Carvalho, Ruben Semedo e Joao Mario, tre dei gioielli saliti dal florido vivaio locale che ormai compongono - assieme ad Adrien Silva - la cerniera di centrocampo titolare. Un'ulteriore differenza dagli anni passati è la presenza di piedi buoni in rosa, molti dei quali hanno contribuito a risolvere le partite più complicate. In tal senso Bryan Ruiz rappresenta un vero e proprio ago della bilancia, perché agendo da mezzapunta o da attaccante esterno (a seconda dei casi), tra le linee può sfruttare la sua tecnica con giocate d'alta scuola.
 
Il futuro prossimo dello Sporting si chiama Bayer Leverkusen, in un'Europa League nella quale sarà difficile per i Leoni andare avanti; nonostante ciò, il "José Alvalade" è tornato finalmente a riempirsi dopo gli ultimi anni di vacche magre, segno di una riappacificazione tra squadra e tifosi fino ad un anno fa impronosticabile. Grosso merito di ciò va ovviamente a Jorge Jesus, bravo ad inserirsi in un contesto da ricostruire mettendoci di suo autorità e personalità. Il campionato rimane l'obiettivo primario: dopo sedici anni, forse è la volta buona.
 

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