martedì 23 maggio 2017

Le due vite di Gallardo


Il calcio argentino, da qualche anno, sta vivendo una sorta di stallo qualitativo. Il campionato non è più il migliore del continente latinoamericano, superato dal vicino Brasileirão, e gli ingredienti principali che era solito portare in dote il menu della Primera Division iniziano a mancare.

L'allargamento a trenta squadre, ultima eredità dell'epoca "grondoniana", ha fatto crollare verticalmente un fattore imprescindibile per il calcio del subcontinente: la qualità. Meno partite godibili per la troppa differenza tra le grandi e le piccole, giovani che vengono venduti subito per necessità senza poter concludere il loro processo di maturazione e - soprattutto - la consapevolezza che il livello del calcio locale abbia necessità di un deciso restyling per tornare ai fasti di un tempo.

Le ultime stagioni però ci hanno regalato anche un paradosso: tanti nuovi allenatori dal potenziale grande futuro. Alcuni di loro, come Jorge Sampaoli, già affermatisi in Europa e rientrati per dare una mano alla nazionale a rilanciarsi. Altri, invece, stanno uscendo proprio ora. Matyas Almeyda, Guillermo Barros Schelotto e Martin Palermo sono solo alcuni nomi della nouvelle vogue argentina, ben rappresentata e capeggiata dalla figura di Marcelo Gallardo.

Marcelo Gallardo è l'allenatore più vincente del Sudamerica. Da quando è stato chiamato ad allenare il River Plate - parliamo dell'estate 2014 - il Muñeco (la bambolina) ha fatto incetta di titoli (otto da giocatore, sei da allenatore, primatista in campo internazionale con cinque titoli) impattando in maniera clamorosa sull'ambiente millonario. Nella sala dei trofei presente in sede, a Nuñez, fanno bella mostra una Copa Libertadores, una Sudamericana, due Recopa ed una Suruga Bank, tutte con un denominatore in comune: Gallardo. 

Se il feeling tra il tecnico e l'ambiente millonario è sbocciato subito, non era così scontato che il Muñeco fosse profeta in patria. 

D'altronde, tornare dove da calciatore sei stato idolatrato al pari di mostri sacri come Francescoli e Ortega, poteva rivelarsi una scelta per certi versi azzardata. Una sorta di sfida.

La vita di Gallardo però è sempre stata una sfida, sin da quando - ai tempi dei primi calci al pallone - passava interminabili giornate tra le strade di Merlo, suo luogo natale, a giocare con i ragazzini più grandi. Ad introdurlo al fútbol ci aveva pensato il fratello maggiore, una presenza costante nei vari capitoli di crescita di Marcelo. Fu lui a consigliargli di accettare il River Plate quando, da ragazzino, il club decise di portarlo a Nuñez dopo averne apprezzato le doti tecniche durante un torneo al quale erano presenti alcuni osservatori dei millonarios. Gallardo percorre tutta la trafila giovanile con la banda rossa sul petto, e a 17 anni l'allora tecnico della prima squadra, Daniel Passarella, lo butta dentro nel 2-0 con il quale il River Plate regola il Newell's.




Come tante altre ex glorie riverplatensi (Ortega, Cavenaghi, Ponzio), anche Gallardo ha avuto un rapporto complicato con una delle maglie "più pesanti del mondo". La sua storia da giocatore con il River ha bisogno di tre capitoli e tre ere diverse per chiudersi con un finale ben definito. Un finale triste, che porta Gallardo a dichiarare davanti alle telecamere il suo addio, dopo un incontro con i dirigenti nel quale gli è stato comunicato di non rientrare più nei piani futuri della squadra. Il Muñeco si trasferisce a Montevideo per firmare con il Nacional, club con il quale vince un campionato e chiude la carriera da giocatore, dando inizio a quella che sarà la sua seconda vita professionale.

Durante la sua ultima annata sul campo Gallardo comincia a vedere il calcio con un occhio diverso. Non è più solo un ragazzo che si diverte a giocare, ma si è trasformato in uomo curioso, votato ad apprendere conoscenze e sfumature dello sport che gli ha regalato tanti momenti di felicità.
All'"Academia Vicente Lopez", mentre completa il percorso per prendere il patentino di allenatore, instaura un rapporto di amicizia con Rodolfo Arruabarrena, bandiera del Boca Juniors ed avversario di mille battaglie in campo. Con Arruabarrena supera il corso a pieni voti e il Nacional, una volta annunciato l'addio al calcio, gli propone la panchina della prima squadra.

"Fu un'occasione importante per me - dirà tempo dopo Gallardo - il Nacional mi è servito per capire se effettivamente allenare era il lavoro che faceva per me".

I risultati paiono andare proprio in quella direzione: in meno di un anno porta nella bacheca del Bolso un Torneo Apertura e un campionato uruguagio, vincendo la finale 1-0 contro il Defensor Sporting. A decidere la partita sarà la rete di Alvaro Recoba, sua braccio destro in campo con il numero 20 sulle spalle e la fascia di capitano al braccio.


Dopo l'eliminazione dalla Libertadores del 2012, Gallardo decide di prendersi un biennio sabbatico per viaggiare in diversi paesi, visitare le realtà europee più importanti ed affinare la propria visione tattica del calcio. 

Una delle caratteristiche principali del suo metodo è proprio l'europeizzazione del gioco. 

Gallardo già da calciatore aveva avuto diverse esperienze importanti: nel 1999 sbarcò per la prima volta nel vecchio continente per firmare con il Monaco, avendo il suo primo assaggio di Europa in una stagione molto fortunata, culminata con il titolo riportato nel Principato. La seconda avventura, nel 2007, dura solo un anno e mezzo e lo spazio di 22 partite, ma paradossalmente è ancora più determinante nell'acquisizione delle nozioni tattiche che ancora oggi si vedono nel suo River Plate. A Dallas invece Gallardo ha potuto constatare in prima persona cosa voglia dire organizzazione e realizzazione di un progetto volto ad arrivare all'obiettivo finale.

Con questo bagaglio di esperienza, in aggiunta al lavoro svolto sulla panchina del Nacional, il tecnico accetta di guidare il River Plate. Siamo nell'estate 2014 e la società ha appena allontanato Ramon Diaz, un personaggio dall'immagine troppo ingombrante per una squadra risalita dalla B Nacional poco tempo prima.

A Nuñez però torna un'altra persona: il Muñeco ha lasciato spazio a Napoleón, apodo cucitogli addosso dopo i grandi risultati raggiunti alla guida del Bolso. 

Il primo passo è instaurare nel gruppo la cultura del lavoro: con spirito di abnegazione i risultati non tarderanno ad arrivare, è il concetto base da cui ripartire. Il tecnico riparte dal nucleo storico, chiedendo alla società solo quattro rinforzi mirati: oltre al secondo portiere Chiarini, arrivano Rodrigo Mora, Leonardo Pisculichi e Carlos Sanchez. La fiducia nel tecnico, che intanto in campionato ha inanellato una serie di vittorie importanti, sale col passare del tempo. A fine anno il River Plate vince il primo trofeo del nuovo corso alzando al cielo di Buenos Aires la Copa Sudamericana, battendo in finale l'Atletico Nacional.

In quell'anno arriva la prima delle "partite-manifesto" dell'epoca Gallardo; in semifinale c'è il Superclasico, partita per cuori forti nella quale il Boca Juniors parte nettamente favorito. Il Muñeco va alla "Bombonera" incartando la partita agli avversari, riuscendo ad ottenere uno 0-0 che sa di vittoria. Vittoria che arriva al ritorno, quando Pisculichi squarcia di gioia il cuore degli aficionados presenti al "Monumental" con il gol decisivo che elimina gli xeneizes.



Quella serata di fine 2014 regala al River la consapevolezza di essere sulla strada giusta per scrivere un pezzo di storia. Di lì a poco arriveranno altri due trofei: la Recopa Sudamericana, vinta contro il San Lorenzo, e la tanto attesa Libertadores, arrivata dopo la pausa forzata per via della Copa America del 2015. Quella che verrà sempre ricordata come l'edizione del "gas pimienta", che di fatto ha regalato il Superclasico a tavolino ad un River qualificatosi a fatica per gli ottavi, in realtà ci ha permesso di conoscere una delle squadra più forti delle recente storia latinoamericana.



Nella finalissima contro i Tigres i Millonarios danno spettacolo, annientando i messicani con un rotondo 3-0 nella gara di ritorno, grazie alla prova super del Pato Sanchez e di Lucas Alario.
Già, perché Gallardo non è solo uno stratega, ma possiede anche un intuito niente male nella scelta dei giocatori; quando il River annunciò Alario in pochi si smossero, visto lo score personale che l'attaccante prelevato dal Colon portava in dote. Spostato al centro dell'attacco al posto del partente Teo Gutierrez, Alario non ci ha messo molto a ripagare la fiducia del tecnico, e oggi è uno degli attaccanti più apprezzati in circolazione.



Gallardo è un tipo meticoloso, ha una grande personalità (anche per questo motivo è stato ribattezzato Napoleón) e chi lo conosce lo dipinge come uomo di poche parole ma schietto. Gallardo dà e pretende. Il suo modello di allenatore - nemmeno a dirlo - è Marcelo Bielsa, con il quale condivide i concetti di base pur essendo molto più elastico nell'interpretazione tattica della partita. Durante la sua prima esperienza da tecnico è stato folgorato da Sampaoli e dall'incredibile incisività che il neo ct dell'Argentina ottiene dalle squadre che allena.

Una volta vinta la Libertadores però sono arrivati i primi problemi: il River Plate, con le casse perennemente in rosso, ha necessità di cedere. Così piano piano da Nuñez partono tutti: Téo, Funes Mori, Sanchez, Mercado, Vangioni e Barovero permettono al club di fare cassa, mentre Pisculichi è ormai in fase calante e man mano sparirà dai radar.

Il Muñeco deve ricominciare da zero. I primi tempi sono duri, con una squadra da rifondare e i giovani che devono avere il tempo di farsi le ossa. La società gli concede tempo, nonostante le sirene che lo vorrebbero come successore del Tata Martino prima e di Bauza poi sulla panchina dell'Albiceleste. Gallardo, dal canto suo, predica calma e lavora in silenzio per costruire il River Plate 2.0. Il 2016 è infatti l'annata peggiore per il tecnico, perché - nonostante la conquista della seconda Recopa - il River Plate non è più protagonista in patria né, tanto meno, fuori. Inoltre, a molti sono incomprensibili certi incaponimenti tattici, come per esempio relegare Driussi a fare l'esterno d'attacco o addirittura la mezzala.




Eppure Sebastian Driussi è uno dei due giocatori che stanno segnando la rinascita dei Millonarios. Il classe 1996 proveniente dalle giovanili del club ha chiuso il 2016 in crescendo, per poi esplodere definitivamente negli ultimi mesi. Su di lui Gallardo ha lavorato molto, portandolo a diventare un prototipo di giocatore spendibile anche per l'Europa. 

Da talento troppo egoista a vero uomo squadra: la trasformazione di Driussi ha subito un'accellerata improvvisa.

A beneficiarne è soprattutto l'intesa con l'altro crack della squadra, Gonzalo Martinez. Arrivato nel gennaio del 2015 dall'Huracan, il Pity ci ha messo un anno intero ad ambientarsi. Un sinistro di rara bellezza non bastava per avere un posto assicurato in squadra, tanto che - dopo mesi passati in panchina - la società chiamò l'allenatore per chiedere delucidazioni sulla situazione. Eppure anche qui Gallardo ci aveva visto bene, e oggi se ne raccolgono i frutti. Martinez ha finalmente trovato la sua collocazione in campo spingendosi più sugli esterni, e con il cambio di posizione la continuità di prestazione è stata una conseguenza naturale.



Oggi il River Plate è di nuovo sulla cresta dell'onda. In campionato veleggia al secondo posto in classifica a quattro punti dal Boca Juniors (ma con una partita da recuperare) e il futuro, sebbene la società sia costantemente in difficoltà economiche, pare essere molto più roseo. Gallardo ha ricostruito un undici con elementi chiave (Mayada, Ignacio Fernandez e i già citati Martinez, Driussi ed Alario) in ogni zona del campo, creando analogie con quel gruppo che solo due anni fa salì sul trono del subcontinente.

Vincere è difficile, ripetersi ancor di più. Ma con Napoleón al comando, tutto è possibile.


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