giovedì 9 aprile 2015

Lipsia ti mette le ali


Nella ex DDR, falcidiata nel periodo culminato con la caduta del muro di Berlino, lo sport ci ha messo anni a risollevarsi. Se fino agli anni '80 non si sapeva quasi nulla di ciò che succedeva in Germania dell'Est, oggi - dopo più di vent'anni - ancora si cerca di ricostruire pezzo per pezzo una cultura calcistica degna di nota.

Nel cuore della Sassonia c'è Lipsia, una delle più grandi città tedesche di oggi che con il calcio ha sempre avuto un rapporto conflittuale; già ai tempi della Lokomotiv i club erano visti come trasposizione dell'ideologia sovietica e non come semplici società, tanto che gli incroci con le squadre dell'altra Germania erano pochi e ben controllati. Con gli anni si è però andati sempre più verso la globalizzazione del calcio. E proprio questa globalizzazione ha travolto come un uragano la città in questione, nel 2010. 

Dietrich Mateschitz non è un nome nuovo per chi segue attentamente il calcio; infatti, questo 71enne austriaco è il numero uno della Red Bull, multinazionale che tratta bevande energetiche in tutto il mondo. Proprietario del 49% delle azioni, Mateschitz da molti anni ha deciso di scendere in campo nello sport in prima persona. Solo nel mondo del calcio la Red Bull possiede altre due società, il Salisburgo e New York, più un piccolo club militante nella quarta serie del calcio brasiliano; quando nel 2006 terminarono i mondiali in terra tedesca, il magnate tentò inutilmente di comprare l'FC Sachsen per iniziare un business in Germania, ma venne bruscamente boicottato dai tifosi del club sassone che - una volta capite le intenzioni della Red Bull - decisero di protestare ad oltranza. I soldi non sono barattabili con la tradizione, fu il succo del discorso; un leit motiv ripetutosi anche a Salisburgo dove una frangia di fans decise di creare l'Austria Salzburg quando il colosso dei due tori rossi comprò il primo club cittadino.
Dietrich Mateschitz
 

Il planning lavorativo è uguale per ogni operazione. La Red Bull individua una città con un "buco" dal punto di vista calcistico, fa un'offerta consistente e parte subito con un tesoretto di un centinaio di milioni per restringere i tempi di successo. Lipsia, come detto in precedenza, fa parte di un percorso storico complicato, così nel 2009 - vista l'impossibilità di arrivare direttamente in città - Mateschitz rileva l'SSV Markranstadt e lo trasferisce in città, dove nel frattempo nessun club bazzica il mondo del professionismo da parecchio tempo (la Lokomotiv arrivò a giocare addirittura nell'ultima serie della piramide tedesca). Il resto del piano prevede la promozione entro dieci anni in Bundesliga, la costruzione dello stadio e l'allestimento di una rosa in grado di vincere prima il massimo campionato tedesco e poi, entro il 2020, di entrare in Champions League. Se è vero che l'ambiziosità non ha limiti, le leggi tedesche con le quali si sono dovuti scontrare i vertici del club hanno rallentato il raggiungimento degli obbiettivi extra campo. Il primo problema riguardò il nome, visto che in Germania non è permesso inserire lo sponsor nella nominazione della società, cosa che invece rappresenta uno dei capi saldi politici della Red Bull. Si decise così di abbreviare con le iniziali dell'azienda, RB, come acronimo di RasenBallsport. Una volta nato, il RB Leipzig ha dovuto fare fronte alla questione soci, visto che in Germania non si possono concedere più del 50% delle azioni ad un solo proprietario per via di quella regola denominata "50+1", utile a salvaguardare soprattutto la parte finanziaria di ogni club.
La Red Bull Arena
 

Risolti questi fastidiosi impicci, non rimaneva che sistemare le cose di campo. Mateschitz, appena subentrato, stanzia subito un budget di 50 milioni per la restrutturazione del Zentralsatadion, nel quale si sono giocati anche i mondiali del 2006, portandolo ad una capienza di 44 mila posti. La chicca? Ovviamente il nome: Red Bull Arena, bloccata per dieci anni, giusto il tempo di capire dove si potrà arrivare. Assunto Ralf Rangnick come direttore sportivo, la RB ha scalato tre serie in cinque anni passando dalla Oberliga alla Zweite Bundesliga, dove attualmente si sta giocando la promozione diretta al piano superiore seppur in una situazione difficile di classifica (il terzo posto, utile per il playoff, oggi dista8 punti). La squadra, ovviamente, è di tutto rispetto; la ciliegina sulla torta si chiama Davie Selke, attaccante cresciuto e lanciato nel professionismo dal Werder Brema, classe 1996, che raggiungerà Lipsia in estate. Il talento dell'under 20 tedesca è stato strappato ad un concorrenza incredibile di club imortanti, tra i quali - si mormora - ci fosse anche il Bayern. La porta è difesa dallo svizzero Fabian Coltorti, ex nazionale, mentre in mezzo lo svedese Emil Forsberg si sta integrando nei nuovi meccanismi. In attacco c'è invece l'imbarazzo della scelta; si parte dall'israeliano Omar Damari per arrivare all'ex Fiorentina Ante Rebic, passando per Terrence Boyd (fermato ai box da un fastidioso infortunio) e Yordi Reyna, folletto peruviano del quale si parla molto bene.

Davie Selke, prossima stellina del clubSe la rosa è stata rivoluzionata, anzi, rivoltata come un calzino, lo stesso non si può dire per gli allenatori. Dopo tre tecnici cambiati tra il 2009 ed il 2012, la società ha provato ad aprire un ciclo con Alexander Zorniger in panchina, ma a metà febbraio è arrivata la separazione consensuale tra lui ed il club. Così, in attesa del grande nome (si parla di Tuchel, ex Mainz, per il prossimo anno), a dirigere la squadra è stato messo Achim Beierlorzer con un incarico ad interim. L'Arena, nonostante i risultati altalenanti, sfiora quasi i 30 mila spettatori di media, segno di come - seppur in una zona di tifosi nostalgici - il binomio tra storia e calcio attuale visto come business tiri ugualmente. E Lipsia, come dimostrano i numeri, ha bisogno di tornare grande. In barba ad ogni romanticismo.

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