mercoledì 29 aprile 2015

Sudafrica, vincono i "Capi" di Soweto


Il cielo è giallonero, sopra Soweto. Dopo un'annata da dimenticare, in Sudafrica una metà della zona urbana ovest di Johannesburg torna a festeggiare un trofeo. Nella più grande township del Sudafrica, che ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della lotta all'apartheid, i Kaizer Chiefs alzano al cielo il trofeo che li incorona campioni 2014/15, dopo un campionato nel quale i "capi" non hanno praticamente avuto rivali,
chiudendo il discorso già a quattro turni dalla fine. Il nome "Soweto", quartiere di una delle più grandi metropoli mondiali, è una contrazione di "South Western Townships", e a tutt'oggi è una zona povera dove il calcio - lo sport della gente di colore - ha preso il sopravvento.

Fondati nel 1970 e una delle squadre più rappresentative del Sudafrica, i Chiefs bissano il successo di due anni fa, e dopo un breve "regno" dei Mamelodi Sundowns, possono mettere in bacheca il tredicesimo titolo della loro storia. Una storia particolare, quella degli AmaKhosi (nomignolo del club: “Capi”, in lingua Zulu), la squadra con più simpatizzanti in tutta l’area meridionale del Continente africano. Fondata negli anni Settanta da un celebre calciatore sudafricano, Kaizer Motaung, che ha giocato nella NASL, la defunta lega americana, negli Atlanta Chiefs, e si è innamorato di questo nomignolo, “Capi”, nell’accezione rivolta alle guide dei pellerossa (e infatti il logo del club richiama i nativi americani). Motaung è ancora presidente e proprietario degli AmaKhosi, nonostante su di lui piovano continue critiche sulla gestione societaria di un club che - comunque - fa parte del movimento calcistico più ricco dell'intera Africa.

Il successo dei Chiefs è conseguenza di programmazione e spirito di gruppo; un gruppo composto da una spina dorsale importante e di livello che alla lunga ha portato quei (pochi) punti in più per arrivare a mettere le mani sul titolo. In panchina un sergente di ferro, lo scozzese Stuart Baxter, 60 anni ed esperienza da vendere in patria ma - come ama definirsi lui - "un romantico giramondo". Il suo 4-3-3 fatto di sovrapposizioni e ripartenze funziona sempre, imperniato sull'asse centrale composto dal portiere Khune, dal centrale Mashamaite, dal mediano Letsholonyane e dal centravanti Parker, una sentenza sotto porta. Intorno a loro tanta carne al fuoco, anche in chiave internazionale dove i Chiefs proveranno a riportare in patria una Champions League ormai miraggio di tutti i sudafricani. In difesa, sulle fasce, si sono distinti i due nazionali Sibusiso Gaxa - a destra - e Tsepo Masisela, laterale mancino in odore di (ritorno in) nazionale. Con Mashamaite, al centro, un altro ragazzo molto interessante si è disimpegnato con grande profitto: Eric Mathoho, classe 1990 di Tshiombo, alto 198 centimetri e praticamente insuperabile nel gioco aereo. Ma il vero punto di forza è stato il trio del centrocampo, dove il velocissimo Siphiwe Tshabalala ha avuto modo di creare gioco come mezz'ala di sinistra, usando il suo mancino che da tempo ispira a queste latitudini, togliendosi lo sfizio di andare quattro volte in gol oltre a dispensare numerosi assist. Con lui, il già citato Letsholonyane e l'ottima mezzala Willard Katsande, nazionale dello Zimbabwe. Una mediana ricca di talento, che ha facilitato la prolificità delle punte. Bernard Parker, centravanti della nazionale, ha trovato in Siphilele Mthembu e - soprattutto - George Lebese (vera e propria sorpresa stagionale) due ottimi compagni di reparto. Ciò che balza all'occhio è come la squadra sia praticamente la stessa che trionfò due anni fa: una rarità in un calcio sempre in movimento come quello africano.

Ancora aperti i discorsi Champions League e salvezza. Per qualificarsi alla massima competizione continentale sono in lizza gli ormai ex campioni in carica, i Mamelodi Sundowns, e gli Orlando Pirates. Sono loro la vera delusione stagionale; partiti per tornare sul gradino più alto del Sudafrica, si sono ritrovati a distanza siderale dai propri rivali sin dall'inizio e nell'ultimo mese e mezzo non hanno vinto nemmeno una volta. Anzi, oltre a perdere il treno delle prime, sono usciti clamorosamente dalla African Champions League da un girone più che abbordabile. A pagare sarà Erik Tinkler, ex centrocampista del Cagliari e già in odore di esonero, che nonostante la rosa di tutto rispetto costruita per giocare tre competizioni (nella quale spicca Majoro, attaccante strappato proprio ai Chiefs lo scorso mercato) ha visto la sua squadra squagliarsi nel momento decisivo. In coda c'è ancora da decidere chi tra AmaZulu e Moroka Swallows retrocederà direttamente e chi si giocherà i playout. 

Per il resto c'è poco da segnalare, tra giovani che faticano ad esplodere e sponsorizzazioni dei club europei sempre meno frequenti. Molti club olandesi e belgi, in passato attivissimi in territorio sudafricano, hanno rivolto le proprie attenzioni verso la parte nord-occidentale del continente, riducendo di molto le forze fresche sui vari settori giovanili locali.

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