sabato 14 gennaio 2017

Lo Stregone Bianco



Non è mai facile parlare di Africa.
Nel secolo scorso il Continente Nero è stato snodo fondamentale per l’economia delle potenze europee. Il Colonialismo ha rappresentato una piaga che, ancora oggi, si riflette quotidianamente nella società africana.


Trasferirsi in quelle terre è una scelta di vita. A confidarlo è Hervé Renard, in un’intervista di qualche tempo fa: “Il fatto che io non sia nato in Africa non significa che non mi senta africano dentro - ha dichiarato il neo ct del Marocco - Mi hanno definito un conquistatore? Il termine non mi piace: io questa terra voglio difenderla”.

Renard è solo uno dei tanti ct stranieri che da qualche decennio gravitano, più o meno frequentemente, attorno alle nazionali africane. Questa è una delle dispute più antiche che il calcio locale ricordi: servono davvero allenatori europei? Difficile dirlo senza vivere in prima persona certe situazioni.

Chi può invece dire la sua dall’alto di un’esperienza ultra trentennale è Claude Le Roy, tecnico francese classe 1948 ancora perfettamente sulla cresta dell’onda.

Le Roy è un personaggio particolare, che ben si sposa con la mistica del calcio africano. I risultati ottenuti parlano da soli. E anche se una Coppa d’Africa alzata nel (lontano) 1988 alla guida del Camerun può sembrare poco, va considerato il fatto che oggi - grazie a lui - alcune nazionali prive di tradizione si sono definitivamente assestate su livelli accettabili.

Le Roy vanta esperienze con il Camerun (in tre riprese), Repubblica Democratica del Congo (due parentesi), tre anni con il Senegal e due alla guida di Ghana e Congo Brazzaville. La sua vita professionale è costellata di episodi che ne tratteggiano perfettamente la semplicità, lo spirito di adattamento e soprattutto un carattere forte ma mai burbero. Una sorta di secondo padre per tutti, come si è spesso autodefinito.

Il precursore

Verso la fine del 1985 la federazione camerunense lo chiama e gli chiede la disponibilità ad allenare la nazionale. Il motivo? Tre anni prima i Leoni Indomabili avevano intimorito le potenze mondiali in Spagna, ma occorreva un briciolo di organizzazione in più per crescere ulteriormente.

Le Roy eredita la squadra campione d’Africa, con i suoi esponenti di spicco nel pieno della maturità calcistica. Tra le fila dei Leoni ci sono i due portieri africani migliori della storia, Thomas Nkono e Joseph-Antoine Bell, François Omam-Biyik ed Emmanuel Kundé. Ma, soprattutto, c’è Roger Milla: “Per me Le Roy è stato un grande maestro - ricorda oggi la leggenda numero uno del calcio “nero” - Ricordo che giocavo in Francia e tornare per la nazionale era faticoso. Fu lui a spiegarmi l’importanza di quella maglia, capite? Un bianco che spiega ad un giocatore di colore perché sia giusto rappresentare il proprio paese…


Nel 1986 il Camerun perde la finalissima contro l’Egitto, ma due anni dopo si rifà battendo di misura la Nigeria, grazie ad un calcio di rigore segnato da Kundé.


Le strade tra il ct ed il Camerun si separano subito dopo il trionfo. A chiamare Le Roy è il Senegal; a Dakar non hanno mai passato la fase a gironi di Coppa d’Africa, ma un anno dopo - con il francese in panchina - i Leoni del Teranga arrivano fino in semifinale, dove vengono fermati dall’Algeria futura campionessa. Le Roy viene venerato come un santone, ma nel 1992 - quando è il Senegal ad organizzare la coppa - la squadra non si fa trovare pronta all’appuntamento, cedendo nei quarti di finale al Camerun. Il passato che batte il presente.

Pallino di Berlusconi

Una volta tornato in Francia, dopo un biennio passato in Malesia, Le Roy accetta l’offerta di Canal+ per diventare opinionista e seconda voce durante le partite. Silvio Berlusconi in prima persona si muove per portarlo al Milan nel ruolo di supervisore, ma l’avventura al Milan dura solo tre mesi.


Nel 1998 il richiamo dell’Africa è troppo forte: il Camerun deve partire per la Francia, dove giocherà il mondiale. La squadra è ricca di talento e in rosa ha un piccolo fenomeno: Samuel Eto’o. La rassegna iridata non va come ci si aspettava, così - dopo alcune stagioni passate tra Parigi e Strasburgo - Le Roy decide di fare le valigie e tornare in Africa. Definitivamente.

Le Roy rimane pur sempre un costruttore, ma per rendere al meglio ha bisogno di materiale grezzo da plasmare da zero. Lavorare in Francia, dove ambienti e contesti erano profondamente diversi, non faceva per lui.

Dal 2004 fino al 2008 il processo di crescita sportiva coinvolge Repubblica Democratica del Congo e Ghana. A Kinshasa Le Roy plasma la generazione precedente a quella attuale: il Congo di Nonda e Ilunga partecipa alla Coppa d’Africa 2006 come squadra materasso di un girone di ferro, ma alla fine passa a braccetto del Camerun (con Angola e Togo, che avrebbero poi partecipato al mondiale tedesco, eliminate).

In Ghana invece Le Roy fa fuoriuscire la sua capacità nel plasmare i giovani talenti locali. Sotto la sua guida tecnica, esordiscono con le Black Stars Sulley Muntari, Michael Essien e John Mensah, cardini di quella squadra che poi stupirà nel 2010.

La carriera del tecnico, prima di tornare in Africa, si snoda tra Oman e Siria. Sul golfo rimane due anni e si porta a casa una Gulf Cup, mentre con la federazione di Damasco si separa consensualmente dopo pochi mesi.


Il resto è storia recente: seconda avventura con la Repubblica Democratica del Congo, poi il salto nel Congo confinante, a Brazzaville, dove qualifica la nazionale alla Coppa d’Africa 2015 battendo ai playoff la Nigeria: “In pochi si rendono conto dell’impresa che abbiamo fatto eliminando la Nigeria - commentò all’epoca Le Roy - noi siamo un paese di tre milioni di abitanti, loro di 180. Ma il bello del calcio è che i numeri contano relativamente, altrimenti non dovremmo nemmeno scendere in campo”.

Lo Stregone Bianco

Quel “noi” racchiude in pieno il pensiero e l’essenza di Le Roy, affascinato sin da giovane dal continente africano. La prima visita risale agli anni ‘70, quando da giocatore faceva parte dell’Amiens e parallelamente coltivava la passione per la politica ereditata da suo padre, vecchio partigiano francese sostenitore dell’indipendenza algerina e forte oppositore del regime di Lumumba nel Congo belga.


Curiosa l’origine del suo soprannome: lo “stregone bianco”. Fu lui stesso, un anno fa, a spiegarla: “Quando arrivai in Camerun per la prima volta mi chiesero cosa pensassi della stregoneria - dichiarò il ct a France Press - e io, originario di un paese vicino alla Bretagna, risposi che il primo vero stregone della storia fu Mago Merlino, un bretone”.

Le Roy ha vissuto l’Africa nel vero senso della parola. Ci si è approcciato calandosi immediatamente nella mentalità, ci ha cresciuto la propria famiglia e non ha mai lesinato critiche ai “bianchi” che hanno tentato di imporre il loro stile a gente culturalmente differente.

Il tecnico è un gran sostenitore delle potenzialità del continente, e quando nel 2014 l’allora ct nigeriano Keshi sparò a zero contro gli allenatori europei (“Vengono in Africa solo per i soldi”), lui ammise: “Il problema è che non si può venire in Africa a dire alla gente cosa fare. Loro sanno benissimo come comportarsi. Il difficile è conquistarsi la loro fiducia: io l’ho fatto e adesso mi ascoltano”.

Le Roy si sente a casa. Una casa grande, grossa quanto ogni paese in cui ha vissuto. La figlia maggiore ha sposato Fadel Barro, leader dell’opposizione senegalese al governo Wade, che dopo una campagna elettorale molto lunga e complicata è riuscito a prendere le redini del Paese.

Ha un’idea molto precisa dell’Europa, calcistica e non: “Non puoi allenare qui se non conosci la loro cultura, se non sai quando è festa nazionale. Non si tratta di mettere in fila dei nomi su un foglio di carta: qui ci va rispetto. Un rispetto che le potenze europee non hanno mai avuto per l’Africa, in cui si usava il napalm ancora prima che gli americani lo utilizzassero in Vietnam”.

Next stop: Lomé
Il Togo è la sesta nazionale allenata da Le Roy in Africa, per un totale di nove esperienze. Tutte ampiamente positive. Ma il Togo rappresenta anche una sfida, di quelle molto difficili da vincere.

Ad eccezione del 2006, anno in cui gli Sparvieri si qualificarono al mondiale, la squadra non vanta una grossa tradizione dal punto di vista dei risultati in campo internazionale (se non un quarto di finale in Coppa d’Africa del 2013). Inoltre, rientra da alcuni anni di anonimato, cominciati con il bruttissimo episodio del 2010, quando al confine con l’Angola la spedizione togolese venne assalita a colpi di fucile da una banda armata che uccise tre persone. La decisione di non partecipare alla seguente Coppa d’Africa causò una squalifica ancora oggi inspiegabile.

Ma la squadra, secondo Le Roy, è valida: “In Togo si vive per il calcio. Ho accettato questa sfida perché vedo molti margini di miglioramento - ha detto a Le Monde - Anni fa stavo per accettare visti i buoni rapporti che avevo ai tempi in cui allenavo il Ghana. Ho parlato col presidente: le sue idee mi piacciono e ho un buon contratto”.

Adebayor è la personalità di spicco: “Per quanto mi riguarda, Emmanuel è uno dei migliori attaccanti del mondo - ha chiosato Le Roy - l’ho convinto a tornare nel gruppo. Ma non abbiamo solo lui. Siamo una buona squadra”.


Fare strada sarà complicato: la concorrenza è tanta e, soprattutto, al via di questa Coppa d’Africa ci sono molte squadre più rodate di questo Togo. Ma gli Sparvieri hanno lo Stregone Bianco che li guida. Gli altri, no.





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